I Fra il Gange e il Po, l’India e l’Emilia Romagna la vita di Krishna è imprigionata fra due mondi – quello induista in cui è cresciuto da figlio di una famiglia di bramini, e quello in cui è emigrato da bambino, l’Italia settentrionale dove lavora in una azienda casearia a conduzione familiare. È lui il vegetariano del titolo del film di Roberto San Pietro, in tour per l’Italia, da Roma a Trento, per tutto il mese di maggio: sarà al Quattro Fontane di Roma il 13 e 14 e all’Anteo di Milano il 16, 19 e 27 maggio (tutte le info su bit.ly/apapaja_cal).

Nel film Krishna (Sukhpal Singh) si ritrova a confrontarsi con un dilemma: una mucca di 5 anni non produce più abbastanza latte, e il proprietario dell’azienda (Luigi Monfredini) in crisi economica – come tutte le piccole realtà schiacciate dai produttori intensivi – decide di venderla per farla macellare. Una scelta che si scontra con il forte credo di Krishna, più un convincimento morale che una dottrina religiosa, basato sul fatto che le mucche per i sikh sono sacre ma ancor più sull’idea che «ogni cosa si trasforma e tutti gli esseri viventi hanno un significato», come spiega lui stesso alla discussione della sua tesi di laurea sulla metempsicosi.

«È UNA REALTÀ che mi ha subito incuriosito», ha spiegato il regista a proposito della numerosa comunità indiana che abita nell’Italia settentrionale. «Sono andato a vedere gli allevamenti dove gli indiani lavorano. Ho visitato i loro templi, grandi e affollati come quello sikh di Novellara, oppure minuscoli e sperduti nella campagna come quello induista di Fabbrico. E mi sono fatto raccontare le loro storie». E fra queste la vicenda che ha ispirato il film, sulla crisi di un uomo messo di fronte alla necessità di decidere «quali animali sarebbero andati al macello». Attraverso la storia di Krishna – e il suo amore per un’immigrata come lui: una ragazza russa che fa la badante a un’anziana signora – Il vegetariano si confronta anche con l’integrazione e le difficoltà delle comunità straniere che vivono in Italia, fra cui la dimensione criminale del lavoro a giornata, in nero e pagato miseramente, al mercato e soprattutto nei campi. Dove le persone hanno ancor meno valore di una mucca che non produce più latte.