Tra i tanti effetti della pandemia c’è anche il fatto che ognuno ha avuto più tempo a casa e ciò consente ascolti lunghi e concentrati. Questo spiega in parte il successo di un disco con un solo brano di quarantasei minuti. Ma Promises non ha solo meriti extramusicali perché si tratta di un gran bel lavoro. Il britannico Floating Points, aka Sam Shepherd, apprezzato dj e musicista elettronico ha costruito un affascinante affresco stratificando i suoi interventi alle tastiere e elettronica, il sax jazz di Pharoah Sanders e gli archi della London Symphony Orchestra. Una cellula di poche note che si ripetono ricorre nei diversi movimenti della suite che scorre lenta o lentissima; il vecchio leone Sanders ruggisce che è una meraviglia con quel suo suono dalla bellezza ancestrale. Shepherd scrive bene: il sesto movimento, tutto dedicato all’orchestra, raggiunge livelli di pathos assoluti. In copertina uno degli immensi paesaggi astratti dell’artista etiope Julie Mehretu che fa capire quanto abbiamo perso, per il godimento visuale, passando dal vinile al cd e al digitale. Sulla carta una impresa improbabile; a conti fatti uno dei dischi che meglio rappresenta il tempo nel quale viviamo.