Una maratona di sei ore in diretta tv, sotto l’egida della Unasur e del Vaticano. Giovedì, il governo venezuelano e l’opposizione hanno discusso fino a tarda notte per provare a comporre il conflitto violento che, dal 12 febbraio scorso, ha provocato 40 morti. Un primo passo a mo’ di «catarsi», ha detto il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patiño, presente con i suoi omologhi brasiliano (Luiz Alberto Figueredo) e colombiana (Maria Angela Holguin).

Il nunzio apostolico a Caracas, Aldo Giordano, ha letto una lettera di papa Bergoglio che ha invitato le parti «all’eroismo del perdono». Il governo bolivariano avrebbe voluto come mediatore l’ex nunzio Pietro Parolin, attualmente segretario di Stato presso la Santa sede, che si è scusato per l’assenza, ribadendo la sua disponibilità «in ogni momento». Nel salone Ayacucho di palazzo Miraflores erano presenti 19 delegati, dieci di opposizione e nove governativi che hanno accompagnato il presidente.

Maduro ha introdotto l’incontro, inevitabile il riferimento all’11 aprile di 12 anni fa, quando l’opposizione tentò un golpe (orchestrato a Washington) contro Hugo Chavez, mettendolo fuori causa per 47 ore. Il suo posto venne preso dal capo della Confindustria locale, Pedro Carmona Estanga, appoggiato da media privati e gerarchie ecclesiastiche.

Alcune figure di primo piano negli avvenimenti del 2002, come Henrique Capriles, erano presenti a Miraflores. Altre, come il leader di Voluntad popular Leopoldo Lopez, sono in carcere con l’accusa di aver istigato le piazze alla violenza. E la richiesta di amnistia presentata dall’opposizione non riguarda solo gli arrestati di questo ultimo mese, ma anche personaggi di allora, come l’ex commissario Ivan Simonovis. «C’è un tempo per la giustizia e un tempo per il perdono. Questo è tempo di giustizia», ha detto Maduro, che il 14 aprile compirà un anno da presidente. Capriles – suo antagonista diretto, sconfitto di misura alle presidenziali e prima largamente da Chavez – non lo ha mai riconosciuto, e continua a chiamarlo «Nicolas». Ha fatto così anche nel suo discorso di giovedì in cui ha accusato il governo per tutti i mali che affliggono il paese: inflazione, insicurezza, scarsità di prodotti.

Problemi provocati o acuiti dalla «guerra economica» o dal sabotaggio dei poteri forti, secondo il governo, che ha difeso il socialismo bolivariano. «Abbiamo ridistribuito la rendita petrolifera, scontiamo i problemi economici di tutti i paesi che cercano di rendersi autonomi a livello produttivo», ha affermato Ramirez, ministro dell’Energia e del petrolio. E il sindaco Jorge Rodriguez ha chiesto all’opposizione: «Perché nessun quartiere popolare sta protestando come avviene nelle zone di classe medio-alta?» Anche la Fao, ha intitolato il suo programma di lotta alla povertà allo scomparso Hugo Chavez Frias.

Invece, per il governatore dello stato Lara, Henri Falcon (che ha cambiato casacca dopo essersi fatto eleggere con Chavez), «non c’è una guerra economica, ma un’improvvisazione economica». E il difetto sta appunto nel socialismo bolivariano, «un modello fallimentare» che deve scomparire (Roberto Enriquez, dirigente del partito socialcristiano Copei). Parole come «rivoluzione e socialismo indicano che il governo si è separato dalla sua Costituzione», ha rincarato il segretario generale di Accion democratica (il centrosinistra d’antan). Le ali più oltranziste della Mesa de la unidad democratica (Mud) non si sono fatte vedere.

Per loro, la via da percorrere resta la «salida», la rinuncia di Maduro imposta a furor di piazza. Un obiettivo perseguito anche fuori dai confini del Venezuela. Maria Corina Machado, pur destituita da parlamentare, continua a aizzare le destre a livello internazionale. In Brasile è stata ricevuta dai deputati di opposizione, ora è in viaggio per Bruxelles. E a Milano, i suoi seguaci hanno organizzato per domani alle 15 una manifestazione in Piazza Cordusio con la stessa consegna. In Venezuela, governo e opposizione riprenderanno a discutere martedì.