Ricorre insistente, confuso, fastidioso, il termine centrosinistra. È ambiguo. Chiarezza ed onestà politica impongono di distinguerne le componenti per un discorso serio in una fase quanto mai grave dalla democrazia, non soltanto in Italia, certo, ma che la specificità italiana acuisce.

Non è solo per rigore lessicale, quindi, che le due componenti del termine vanno distinte e chiaramente. Ma anche per ragioni molto più rilevanti. Quelle che, prima ancora di riferirsi alla eventualità di un incontro, alla possibilità di una combinazione, di un compromesso, di una alleanza, auspicabili ed anche necessarie in determinate circostanze, attengono invece alla stessa identità di formazioni sociali, di correnti culturali, di eredità storiche e politiche definite, da qualche secolo. Entità umane, formazioni sociali, culture politiche e storiche che vanno riconosciute e rispettate, identità che non vanno dissolte, mischiate e disperse perché dei garbugli, dagli assemblaggi irrazionali, delle assimilazioni innaturali la loro storia si vendica. Si vendica come può, con le crisi e le regressioni di civiltà dei sistemi politici. Lo dimostra quella che stiamo vivendo la cui origine sembra evidente. Ne rivela la causa e ne definisce la sostanza la mistificazione totale delle istituzioni politiche, degli attori politici, dell’agire politico.

Basta riflettere sul significato autentico ed esplicitato del termine che definisce da quarant’anni il verbo e il logos della globalizzazione, il termine governabilità che ha ormai pervaso il vissuto umano in ogni sua manifestazione sociale. Basta confrontarlo e contrapporlo al termine democrazia e constatare che il popolo, il demos, il titolare del potere, il detentore del kratos, con la governabilità, ne diventa l’oggetto. Governabile deve, dovrà essere il popolo, da sovrano, da governante che era. È totale il rovesciamento del rapporto di potere con l’assunzione della governabilità come principio. Perché principio che, una volta elevato, avvolge il suo oggetto, se non tutt’intero, in quel che più rileva. Avvolge cioè la massa umana della forma stato, le singole individualità, i tanti rapporti che le legano, la condizione umana che ne consegue. Ed offre popolo, individualità, rapporti soggettivi, ordinamenti statali alla versione liberista del capitalismo, proprio quella che impone la governabilità. E la ottiene.

La ottiene con la mistificazione della democrazia che non ha trovato nei democratici, cristianodemocratici e socialdemocratici che fossero, alcuna opposizione, alcuna resistenza, alcun rifiuto. Anzi, sia i cristianodemocratici che gli stessi socialdemocratici hanno assunto il liberismo come proprio principio direttivo, e questi rinnegando con le loro radici, se stessi.
La ottiene con la dismissione della rappresentanza politica da parte dei partiti a favore della governabilità, con la propria trasformazione in comitati elettorali per i capipartito candidati alla alternanza tra omologhi a cui è ridotta quel che era la democrazia costituzionale del secondo dopoguerra.

La ottiene mediante leggi elettorali esattamente funzionali alla governabilità delle masse (come quelle ordite da Renzi o lui gradite e che piacciono a Pisapia) con la selezione e l’esclusione anticipata delle “domande di democrazia non sostenibili dal sistema” economico, domande funzionali invece alla espansione della democrazia, all’efficace garanzia dei diritti sociali, domande antagoniste al capitalismo.
La ottiene senza opposizione, senza contestazione, per l’assenza di una sinistra che sia tale, non arresa al capitalismo, neanche se benevolo, non ansiosa di benevolenza, tolleranza, gradimento, consentaneità, non connivente e non convivente con la sua destra.