Nel 2016 Alphabet, il polmone finanziario di Google, ha trasferito 15,9 miliardi di euro in una società di comodo alle Bermuda. Secondo il fisco americano l’aliquota fiscale che il gigante della Silicon Valley dovrebbe rispettare a livello globale è pari al 19,3%. Paga, invece, il 12,5% perché applica l’aliquota irlandese. Solo l’anno scorso il risparmio sarebbe stato di circa 3,7 miliardi di dollari.

LO SCONTO è possibile perché Google si è specializzata in un doppio giro di valzer fiscale, lo stesso usato da Bono degli U2 e Madonna, dalla Regina di Inghilterra e molte altre «celebrità». Per i «Paradise papers», l’inchiesta realizzata dall’International Consortium of Investigative Journalists – una rete di 381 giornalisti di 67 paesi che ha già scoperto i «Panama Papers» – le Bermuda sono uno dei diciannove paradisi fiscali di cui si servono le élite globali e il capitalismo digitale per eludere e evadere le tasse.

IL MECCANISMO mette in seria difficoltà il fisco di tutti i paesi. È il risultato della combinazione tra due dispositivi fiscali e di una triangolazione vertiginosa. I dispositivi si chiamano «Double Irish» e «Dutch Sandwich». Il primo prevede l’esistenza di due aziende sussidiarie in Irlanda (da qui l’aggettivo inglese «double»: doppio). Funziona in questo modo: Google Ireland Ltd. raccoglie la maggior parte degli introiti pubblicitari internazionali della società e poi li trasferisce alla controllata olandese Google Netherlands Holdings BV. A sua volta questa società trasferisce il denaro alla Google Ireland Holdings Unlimited che ha i diritti sulla proprietà intellettuale di Google fuori dagli Stati Uniti. Il «panino olandese» (Dutch Sandwitch) permette la fatturazione dei proventi registrati in Irlanda da parte di società nei Paesi Bassi. Questo passaggio si rende necessario perché l’Irlanda prevede una tassazione molto pesante per chi esporta capitali alle Bermuda. L’Olanda, invece,permette all’azienda di farlo a costi inferiori. Secondo i documenti depositati alla Camera di commercio olandese datati 22 dicembre e resi disponibili online martedì scorso, consultati dal quotidiano Het Financieele Dagblad e rilanciati dall’agenzia Bloomberg, grazie a questa partita di giro Google ha spostato il sette per cento di denaro in più rispetto al 2015. «Paghiamo tutte le imposte dovute e rispettiamo le leggi fiscali in ogni paese in cui operiamo in tutto il mondo », ha risposto un portavoce di Google – Siamo impegnati a contribuire alla crescita dell’ ecosistema online».

GOOGLE, come gli altri «unicorni» della Silicon Valley, è sotto pressione dagli Stati di tutto il mondo e in particolare dalla Commissione Europea che con la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager ha iniziato un’offensiva a tutto campo, a partire dalla richiesta a Apple di versare 13 miliardi di euro all’Irlanda.

NEL 2017 la Commissione Ue ha inflitto una multa a Google per 2,42 miliardi di euro a causa della sua posizione dominante sul mercato. Sotto le vesti del motore di ricerca «oggettivo» Google usa i dati generati dalle ricerche online per valorizzare le offerte pubblicitarie delle aziende e dei servizi già presenti sulla piattaforma. La ricerca di un gommista, di un albergo o di un dentista privilegia i clienti di Google, mentre gli annunci dei loro concorrenti sono riportati nella seconda pagina. L’algoritmo è il problema perché è stato concepito per consolidare la posizione dominante sul mercato pubblicitario. L’ anno scorso, Google è sfuggita a 1,15 miliardi di euro di multa perché un tribunale amministrativo a Parigi ha deciso che i lavoratori locali non hanno il potere di mettere in linea gli annunci pubblicitari francesi. La pubblicazione viene infatti approvata da Google Irlanda.

LA NUOVA legge fiscale di Trump prepara un regalo ai giganti del silicio. Invece di pagare il 24% – da considerare già un grosso sconto rispetto al 29% versato dalle aziende del listino S&P 500 – la «riforma» prevede il 15,5% per il reddito detenuto in contanti o equivalenti e all’8 per cento per beni meno liquidi. Alla fine del 2016 Google deteneva 60,7 miliardi di dollari all’ estero su cui non ha ancora pagato le imposte.