Fawda a Nablus. La fiction israeliana si è confermata, ancora una volta, una realtà perenne della vita quotidiana dei palestinesi. Ieri, alle due di notte, la sede della Sicurezza preventiva palestinese (Spp) nella città più importante della Cisgiordania, si è trasformata in un campo di battaglia quando militari israeliani mistaraviim (travestiti da arabi, come quelli della serie tv trasmessa da Netflix) a bordo di un’auto sono stati fermati da membri della Spp.

Ne è seguito uno scontro a fuoco che si è trasformato, secondo il resoconto diffuso dai palestinesi, in una violenta sparatoria andata avanti per circa un’ora, con l’intervento di ingenti forze militari israeliane che hanno preso di mira la sede stessa della Spp.

Due gli agenti palestinesi rimasti feriti. Inutile la protesta del governatore di Nablus, Ibrahim Ramadan, che ha fatto notare che «il quartier generale della Spp si trova a Nablus, non a Tel Aviv», quindi in territorio palestinese.

Non sarebbe stato altro che un «incidente» per il portavoce militare israeliano, avvenuto durante una «operazione per catturare ricercati». Parole che confermano come per le autorità israeliane l’Area A – le città autonome palestinesi in cui formalmente operano le forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen – resti terreno abituale per le incursioni dell’esercito e delle sue unità speciali. Nella stessa notte 18 palestinesi sono stati arrestati in altre località della Cisgiordania.

I mistaraviim israeliani in giro per le strade di Nablus aumentano la pressione sull’Anp, già in crisi di credibilità, in una fase delicata in cui nulla sembra in grado di fermare i progetti israeliani per la Cisgiordania, a cominciare dalla colonizzazione, e il piano statunitense per il Medio oriente (il cosiddetto «Accordo del secolo») che ai palestinesi nega libertà e indipendenza.

Qualche giorno fa l’ideatore del piano, l’inviato di Trump per Israele/Palestina Jared Kushner, ha detto che i palestinesi «non sono capaci di governare» e di ritenere «difficile» che possano liberarsi dall’occupazione israeliana.

Kushner, che è anche genero di Donald Trump, intanto continua a lavorare all’organizzazione della conferenza economica prevista a fine mese in Bahrain durante la quale intende di convincere i leader arabi presenti a finanziare progetti di sviluppo nei territori occupati e a collaborare alla fine delle aspirazioni palestinesi e del diritto al ritorno dei loro profughi nella terra d’origine.

A rincarare la dose è stato l’ambasciatore statunitense in Israele, David Friedman, proclamando che Israele ha il diritto di annettersi buona parte della Cisgiordania e che «l’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno è uno Stato palestinese fallito». I palestinesi stanno considerando la presentazione di una denuncia contro Friedman al Tribunale penale internazionale.

È un clima ostile, segnato da un’aggressione senza precedenti al diritto internazionale, che richiede ai palestinesi fermezza e trasparenza. Eppure l’Autorità nazionale palestinese non ha mancato di muovere un altro passo a danno della sua immagine in un momento in cui migliaia di famiglie di impiegati pubblici tra Cisgiordania e Striscia di Gaza devono fare i conti con la riduzione drastica o l’azzeramento dei salari per mancanza di fondi.

La stampa locale nei giorni scorsi ha denunciato che nel 2017 i membri del governo dell’Anp si sono segretamente attribuiti un cospicuo aumento dei loro stipendi, in alcuni casi fino al 67%. In quel periodo l’esecutivo di Ramallah aveva ridotto di un terzo i salari nella Striscia di Gaza, sostenendo che al governo mancavano fondi per farvi fronte.

Allo stesso tempo ha aumentato lo stipendio del primo ministro a circa 6mila dollari mensili e quello di alcuni ministri a 5mila dollari. Redditi non paragonabili a quelli dei colleghi europei ma che sono dieci volte di più rispetto a quanto percepisce mediamente un impiegato ministeriale o un insegnante, intorno ai 500-600 dollari (a Gaza molto di meno).

Secondo i media palestinesi, l’aumento era stato approvato anche dal presidente Abu Mazen, ma la notizia era stata tenuta segreta perché il provvedimento violava una legge del 2004 che fissa i tetti massimi degli stipendi dei ministri. Non solo. L’aumento è stato retroattivo, dal 2014, quando il governo era entrato in carica.