Il premio Nobel per la medicina e la fisiologia è stato assegnato a tre scienziati statunitensi, James E. Rothman dell’Università di Yale, Randy W. Schekman dell’università di Berkeley e Thomas C. Südhof dell’università di Stanford, che ha il passaporto americano ma è nato a Gottingen, in Germania. Il Karolinska Institutet, che Nobel stesso incaricò di selezionare i vincitori, ha attribuito gli otto milioni di corone svedesi (circa 913 mila euro) alle ricerche che hanno permesso di comprendere il sistema di trasporto che collega le nostre cellule e gli organelli al loro interno, facendo in modo che le molecole (come proteine o lipidi) giungano al posto giusto nel momento giusto.

Il metabolismo delle cellule, infatti, necessita di continui trasferimenti di molecole. Le proteine, ad esempio, vengono montate con una sorta di catena di montaggio all’interno della cellula. Le vescicole si occupano di trasportare i singoli «pezzi» da una postazione della catena all’altra, rispettando una tempistica ben precisa che farebbe invidia a Marchionne. Inoltre, le vescicole trasportano i neurotrasmettitori che permettono ai segnali nervosi di viaggiare tra i neuroni e le altre cellule che compongono il nostro corpo. Per effettuare la consegna al destinatario, le vescicole si attaccano alle cellule e agli organelli, fondendosi con la membrana cellulare e rilasciando al loro interno la molecola che trasportano.

Grazie ai tre ricercatori, lo studio di questo trafficato sistema ha conosciuto un notevole sviluppo tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. Schekman ha infatti individuato oltre settanta geni che regolano il sistema di trasferimento, analizzando il Dna di particolari micro-organismi, i lieviti, in cui il trasporto delle vescicole mostrava dei difetti di funzionamento. Il sistema vescicolare, a quanto pare, è rimasto sostanzialmente immutato nonostante l’evoluzione delle specie. Il suo ruolo nello sviluppo e nella sopravvivenza della vita sulla terra, dunque, appare decisivo. Rothman, invece, ha studiato in vitro il meccanismo che permette alle proteine sulle membrane delle vescicole e delle cellule di «incastrarsi» con grande precisione e specificità, in modo che le molecole vengano recapitate esattamente alla cellula cui erano destinate. Schekman e Rothman, quasi coetanei (64 e 63 anni rispettivamente) ed entrambi discendenti di ebrei moldavi, hanno proceduto in modo parallelo, spesso negli stessi laboratori seppure in momenti diversi. Le scoperte dell’uno hanno contribuito a quelle dell’altro, e infatti i due avevano già condiviso riconoscimenti importanti: nel 2002, Schekman e Rothman avevano ricevuto il Lasker Award, una sorta di Nobel americano per la ricerca medica di base. Südhof, invece, è uno dei maggiori esperti nella trasmissione dei segnali tra le cellule nervose, e ha individuato il ruolo degli ioni calcio nella «fusione» tra le vescicole e i neuroni. Grazie alla straordinaria efficienza di questo meccanismo, i neuroni sono in grado di recapitare un segnale nervoso nel giro di alcuni millisecondi.

Nonostante l’indubbia importanza dei risultati premiati, la scelta dei giurati di Stoccolma ha in qualche modo spiazzato i pronostici. La Thomson Reuters, che possiede una delle più ampie banche dati sulle pubblicazioni scientifiche, aveva infatti pronosticato altri nomi e altre ricerche, sulla base delle citazioni ricevute dalle ricerche da parte di altri membri della comunità scientifica. Il sistema si affida ad algoritmi esclusivamente quantitativi, che non possono rendere conto degli aspetti emotivi che circondano una scoperta (si pensi al clamore intorno al bosone di Higgs, un altro candidato forte) o di quelli meno confessabili, come quelli economici che talvolta hanno diffuso sospetti sulle scelte del Karolinska Institutet a favore di alcune ricerche in cambio biofarmaceutico. Ciononostante, l’algoritmo Thomson ha azzeccato ben 27 premi dal 2002 a oggi.

Anche le ricerche di Schekman, Rothman e Südhof possiedono notevoli aspetti applicativi di potenziale interesse commerciale. Le vescicole possono essere utilizzate come veicolo per trasportare i principi attivi dei farmaci verso le cellule malate, ad esempio nel caso di alcuni tumori o di altre infezioni gravi. Inoltre, svolgono una funzione importante anche nello sviluppo di diverse malattie neurodegenerative, dall’Alzheimer alla malattia di Creutzfeld-Jacob, la famigerata «mucca pazza». Per questo, gli studi premiati dal Nobel 2013 sono circondati anche da interessi economici non trascurabili. Basta cercare sulle banche-dati brevettuali per rendersi conto che Rothman e Südhof compaiono come inventori di una dozzina di brevetti depositati all’ufficio brevetti statunitense, ottenuti grazie a finanziamenti non solo di università e centri di ricerca, ma anche grandi imprese come la General Electric e piccole imprese «spin-off». Non è affatto raro che il cospicuo finanziamento del premio Nobel finisca a scienziati che non hanno bisogno di ulteriori aiuti economici. Eppure, Alfred Nobel era stato chiaro, quando nel 1895 scrisse il testamento che istituiva il premio: lo avrebbero meritato coloro che avevano generato il maggior beneficio per l’umanità intera. Avrebbe dovuto specificare: «e anche per chi non può pagare la licenza».