Il Teatro Valle Occupato ha presentato nei giorni scorsi la sua programmazione 2013-2014, forte dell’essersi costituito in Fondazione, e di essere ormai il maggior punto di riferimento e visibilità di ogni vertenza, e del principio stesso, dei “beni comuni”. Ma proprio in occasione di questa presentazione “stagionale”, si sono riaccese le polemiche, anche virulente sulla sala dei marchesi Capranica, e di Rossini e Pirandello. Mentre il quotidiano la Repubblica sembra appoggiare senza esitazione i progetti degli occupanti, il Corriere della sera li attacca addirittura in prima pagina.

Non per sola rivalità editoriale però, perché il maggior accusato del quotidiano di via Solferino sembra essere alla fine colui che al Valle offre la maggior consulenza giuridica e legislativa, ovvero Stefano Rodotà, che pur essendo uno spettatore teatrale attento, agli occhi di certa stampa (e di certi schieramenti, perfino trasversali) ha accumulato ben altre “colpe” dai giorni della candidatura al Quirinale. Insomma una discussione ancora una volta oziosa quanto preconcetta, confermata dai tardivi anatemi, invocati anche dal Corriere, che ricordano le mitiche “oche del Campidoglio”, da parte di due esponenti dell’opposizione di destra all’amministrazione Marino, in quanto all’indomani dell’occupazione la proprietà del Valle fu frettolosamente passata dal ministero al Comune di Roma. Peccato che uno dei due protestatari capitolini (che invocano sgomberi e polizia), il consigliere Mollicone, fosse nella commissione cultura del comune già durante la triste gestione nera di Alemanno, e avrebbe potuto, con maggior potere contrattuale, ben strillare allora.

Ma anche a voler tralasciare queste discussioni speciose che indaffarano solo i giornali tardoberlusconiani, si apre ora sul Valle la partita vera, che non riguarda solo gli occupanti o i loro detrattori, ma regole e modelli di convivenza culturale. La partita si apre perché dalla politica dei palazzi non potrà continuare a uscire solo la imbronciata avversione di Alemanno e dei suoi, che certo non avevano né consapevolezza né strumenti per poter intervenire (oltre a una possibilità celerina controproducente sul piano elettorale). Marino e la sua assessora alla cultura Barca dovranno dire qualcosa di più e di diverso di quanto non detto finora.

Le loro prime uscite pubbliche (sul teatro come sulla cultura in una metropoli, oltre che sulla possibilità di un bene comune immateriale) non promettono miracoli. A sinistra i malumori e i mal di pancia contro l’occupazione sono fortissimi e diffusi, come si può vedere dal web o sentire all’uscita delle sale che stanno riaprendo.

A cominciare dai molti che hanno occupato il Valle all’inizio e poi se ne sono allontanati (costretti dal centralismo eccessivo e vessatorio, dicono gli interessati), per proseguire con le molte compagnie cui Roma è impedita per la progressiva riduzione degli spazi (anche di prima grandezza) indotta dalla crisi. E’ una matassa assai ingarbugliata: l’occupazione dell’Odéon nel ’68 visse su una Parigi già mobilitata, di cui in Italia si vedono purtroppo solo le ombre stinte. La stagione annunciata presenta molti nomi di attrazione, ma è gracile per motivare tutto con formule già note. Se la discussione politica, a sinistra, uscisse dal già detto, se ne gioverebbero gli artisti, e anche gli spettatori, e anche gli occupanti del Valle.