Arrivano a centinaia ogni giorno e i numeri sono in aumento. Un migliaio di persone solo ieri. Pullman e furgoni pieni di donne e bambini che si fermano nel grande piazzale del (ex) valico confinario di Fernetti, una decina di chilometri dal centro di Trieste. Polizia ed esercito guardano dentro, controllano i documenti degli autisti, una mediatrice culturale spiega che è necessario registrare la propria presenza in Questura, che questo passo essenziale garantisce tutti i diritti riservati ai rifugiati: il soggiorno, l’accesso al mercato del lavoro e agli alloggi, l’assistenza medica e l’istruzione per i minori. Nessuno parla delle normative anti-Covid lasciando l’onere ai luoghi di destinazione.

L’Unhcr distribuisce numeri di telefono utili in caso di bisogno, la Protezione civile ha un furgone pieno di acqua e bibite ma ci sono soprattutto uomini e donne con qualche banchetto improvvisato di frutta e caramelle. La catena della solidarietà ha tante sigle ma in realtà è un fitto passaparola che tiene tutti connessi: si sa più o meno quando arrivano i pullman e dove sono diretti. Da questo valico passano ogni giorno più della metà dei profughi che lasciano l’Ucraina e sono diretti in Italia ma poco più di 500 si sono finora fermati in Friuli Venezia Giulia dove esiste da anni una certa presenza di donne ucraine che lavorano soprattutto nelle case di riposo o come badanti.

Il flusso è continuo; vengono fermate anche automobili con a bordo coppie di giovani, anche solo maschi che in qualche modo hanno superato i divieti preferendo la fuga al servizio militare. Nei pullman ci sono donne di tutte le età con figli o nipoti, bambini contenti di mangiare un gelato o mettersi in tasca una caramella; ringraziano timidi in questo piazzale inondato di sole dove i volti sono amichevoli e i militari con il mitra restano a bordo strada. Minori non accompagnati non ce ne sono o arrivano tutti assieme: in tarda serata si aspetta un pullman di bambini evacuati da un orfanotrofio che raggiungeranno Firenze dove già li aspetta una struttura dedicata.

Una firma in Questura e gli ucraini sono riconosciuti come rifugiati. Un paradosso evidente qui, su questo confine dove da anni esseri umani in fuga sono costretti a nascondersi se sperano di raggiungere il nord Europa. Lo rileva anche il Procuratore capo di Trieste che da sempre chiede l’abolizione del reato di clandestinità che «non aumenta di un millimetro il tasso di sicurezza dei cittadini e fa lavorare a vuoto la macchina giudiziaria senza alcuna speranza di poter dare un messaggio positivo». Per l’Ucraina in fiamme ci ha pensato l’Europa, magari questa diventerà un’occasione perché l’Italia ripensi al significato di accoglienza.