«Gli americani furono sorpresi dal lancio dello Sputnik. Con il vaccino, succederà la stessa cosa: arriverà prima la Russia». Lo aveva detto poche settimane fa Kirill Dmitriev, a capo del fondo sovrano russo che finanzia la ricerca russa sul vaccino anti-Covid. L’impegno è stato mantenuto: il primo vaccino registrato contro il Covid-19 è russo. L’annuncio trionfale è stato dato dallo stesso Putin: anche una delle sue figlie si è offerta come volontaria per i test. Lo ha sviluppato l’istituto statale di ricerca Gamaleya di Mosca ma al di là del nome «Sputnik V» – non scelto a caso – del vaccino si sa ben poco. E la comunità scientifica internazionale ha accolto la notizia con una certa diffidenza.

CHE CI FOSSE ANCHE la Russia in corsa per un vaccino era noto. Ma la velocità con cui il vaccino avrebbe superato i test fa dubitare molti ricercatori. «Sapevamo che a metà giugno il vaccino russo era stato testato su 38 persone, probabilmente militari, e ciò alimenta le perplessità: i tempi sono davvero molto brevi per le valutazioni», dice Giuseppe Ippolito, direttore scientifico all’istituto Spallanzani di Roma.

Prima di essere autorizzato, infatti, un vaccino deve dimostrare di non avere effetti collaterali gravi e di fornire una protezione dall’infezione, con test successivi su gruppi sempre più ampi di volontari. La registrazione del vaccino russo arriva invece dopo un solo test – quello a cui fa riferimento Ippolito – in cui si sarebbe verificata sia la tollerabilità che la produzione di anticorpi in un numero molto piccolo di volontari, senza per altro rendere pubblici i risultati.

QUALCUNO SOSPETTA che per bruciare le tappe i russi siano ricorsi persino alla pirateria informatica. Sotto accusa gli hacker del famigerato gruppo Apt29. «Molti lo ritengono legato al Cremlino – spiega al manifesto Carola Frediani, esperta di cyber-sicurezza – in luglio erano stati segnalati attacchi ai centri di ricerca che lavorano sul vaccino anti-Covid, senza peraltro specificare se fossero andati a buon fine. È possibile che abbiano ottenuto qualcosa, ma visti i tempi è improbabile che abbiano ottenuto informazioni decisive per lo sviluppo di un vaccino».

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) mostra cautela: «Siamo in contatto con le autorità sanitarie russe e ci sono colloqui in corso sulla possibile pre-qualificazione del vaccino da parte dell’Oms – dice un portavoce – ma la pre-qualificazione di un vaccino richiede una rigorosa revisione e valutazione di tutti i requisiti di sicurezza ed efficacia». E questo richiederà ulteriori passaggi.

Dmitriev ieri ha ammesso che i test su larga scala in realtà devono ancora iniziare: partiranno in settimana in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti e nelle Filippine. Solo dopo il loro esito si potrà parlare di una vera e propria autorizzazione sanitaria. Anche sui documenti di registrazione si legge che il vaccino non sarà diffuso nella popolazione prima dell’anno prossimo. Il Gamaleya e l’azienda russa Binnopharm dovrebbero produrne cinquecento milioni di dosi l’anno, anche se, dice ancora Dmitriev, «il numero di richieste preliminari ricevute da oltre venti Paesi supera il miliardo di dosi».

NONOSTANTE GLI ANNUNCI, l’impressione è che la registrazione anticipata del vaccino rappresenti più un’operazione mediatica ad uso dell’opinione pubblica nazionale e internazionale che una vera impresa scientifica. Secondo un rapporto dell’Oms aggiornato all’altroieri, ci sono al mondo almeno altri venti vaccini in uno stadio di sviluppo più avanzato di quello russo. Sei di questi sono già nella «fase 3», l’ultima prima dell’autorizzazione al commercio: tre sono cinesi, due statunitensi e uno inglese. In assenza di dati scientifici più esaustivi, l’annuncio del Cremlino non cambierà le gerarchie.