Secondo i dati ufficiali, negli Stati Uniti ci sono 1400 persone positive al nuovo coronavirus e le vittime finora sono 39. Solo alla fine di febbraio è stato registrato il primo caso di Covid-19 non legato a focolai esteri, e dunque presumibilmente provocato dal contagio locale. Dieci Stati non sono ancora stati ancora coinvolti dal contagio.

QUELLI PIÙ COLPITI sono la California, lo Stato di Washington (che però si trova dalla parte opposta della capitale, sulla costa ovest al confine col Canada) e la regione di New York. Si tratta di aree fortemente urbanizzate, ben collegate con il resto degli States e del mondo e dunque ragionevolmente più a rischio di trasmissione. Ma tra gli esperti serpeggia la convinzione che i malati siano molti di più.

PARADOSSALMENTE i dati che davvero preoccupano sono quelli provenienti da stati con relativamente pochi casi. Ad esempio, la decina di casi registrati in South Dakota, dove risiedeva anche una delle vittime statunitensi del coronavirus. Si tratta di uno stato rurale, a bassissima densità di popolazione e con scarsi collegamenti.
È difficile che lì il virus sia arrivato da fuori: più probabile che il contagio da persona a persona avvenga ormai in modo diffuso anche negli Stati Uniti, secondo Sam Scarpino, epidemiologo all’università Northeastern di Boston: «Un focolaio di casi in piccoli stati isolati come il South Dakota suggerisce un numero di casi molto più elevato di quello ufficiale», ha dichiarato all’agenzia Bloomberg. Il problema della scarsa attività diagnostica è il collo di bottiglia che starebbe bloccando la risposta all’epidemia. «È quasi sicuro che negli Usa ci siano parecchie migliaia di persone contagiate di cui non abbiamo conoscenza per mancanza di test», ha confermato via tweet Michael Mina, epidemiologo all’università di Harvard. «La decisione di limitare i viaggi in Europa non ci proteggerà». In un’inchiesta pubblicata il 9 marzo, il mensile «The Atlantic» dimostrava che finora il Centro per il Controllo delle Malattie (CDdc) ha effettuati i test su poco più di quattromila persone.
Sono pochissime: l’Italia, che ha una popolazione sette volte inferiore a quella statunitense, ne fa circa dodicimila in un giorno. La ragione è una serie imbarazzante di errori nelle forniture dei kit diagnostici.

NEI PRIMI GIORNI dell’epidemia sono stati inviati agli ospedali kit diagnostici difettosi, che hanno costretto i medici a buttare esami e tempo prezioso. Il problema è stato risolto nel giro di qualche giorno e l’impasse sembrava superata. «Ora i kit sono affidabili» ha detto al magazine «Politico» Robert Redfield, direttore del Cdc, segnalando un ulteriore problema: «per effettuare il test però servono altre cose oltre al kit». Redfield si riferisce ai reagenti chimici necessari per l’esame, che sono prodotti dalla tedesca Qiagen in Germania e che in questo momento scarseggiano per le tantissime richieste provenienti da tutto il mondo, un altro fattore che rallenta l’avvio dei test su larga scala.

FINORA TRUMP ha cercato di scaricare le responsabilità su altri. Nel comunicare il blocco dei voli dall’Europa, ha parlato di un virus «di origine straniera» alimentato dalla riluttanza europea a «prendere le stesse precauzioni degli Stati Uniti». Il due marzo, incontrando le principali aziende farmaceutiche statunitensi, Trump le ha esortate a sviluppare un vaccino nel più breve tempo possibile. «Fatemi un favore, sbrigatevi» ha ordinato agli imprenditori, senza rendersi conto che i tempi per un vaccino efficace e sicuro non possono essere abbreviati con un decreto presidenziale.
«Forse dovremmo essere contenti» ha ironizzato Holden Thorp, direttore dell’autorevolissima rivista Science, «Tre anni fa, il presidente era scettico nei confronti dei vaccini e tentava di lanciare una task force anti-vaccinista. Ora improvvisamente li adora». Il suo editoriale è un atto di accusa diretto: «Non si può insultare la scienza quando non ti piace e poi fare richieste che la scienza non può soddisfare», ha scritto Thorp. «Per quattro anni di seguito il presidente ha tagliato i fondi per la ricerca, in particolare quelli destinati al Cdc e all’Istituto Nazionale di Sanità».