Ci vuole un po’ per mettere a fuoco quel richiamo distante ma preciso che evoca lo smilzo e denso libro di Antonio Rolli Il mare traverso (Besa Editore, pp. 81, euro 12). Quando lo si coglie, si rischia lo stupore scoprendo che non è un altro libro ma un disco, Creuza de mà, capolavoro di Fabrizio De Andrè e Mauro Pagani. Proprio come in quell’insuperato cd, nel libro di Rolli si respira dalla prima all’ultima riga l’atmosfera del Mediterraneo: i suoi colori, la sua gente, in questo caso quella del Salento, e persino i suoi sapori ma ancora prima la cultura meticcia e incrociata che del Mediterraneo è l’anima.

MARE CHE È COME LA VITA ma sul quale grava l’ombra della morte, dei barconi rovesciati, dei migranti annegati, dei trafficanti di carne umana che ci si riempiono il portafogli e dei mercanti di terrore che ci fanno il pieno di voti. In questa storia che somiglia a un apologo Rolli, giornalista già collaboratore del manifesto ora alla sua prima prova come scrittore, parla di entrambi, il mare di morte e quello da cui viene la vita. Come il suo protagonista, l’autore è consapevole di quanto oggi prevalgano i nuvoloni carichi di disgrazia, ma sceglie di denunciare quel che manca al mondo di oggi per una via opposta a quella abituale. Invece che soffermarsi sulla miseria del presente, sull’egoismo e la chiusura, sulla paura che produce paura e induce odio, volge la narrazione in positivo: svela il meglio per inchiodare il peggio.

Il meglio, in questo caso, è Giuseppe, un libraio del Salento che ama le pagine stampate quanto le onde e sa che tra gli uni e le altre non passa troppa differenza. Quando Francesca, una ragazza come tante ma a differenza di tante innamorata di un profugo siriano cieco, Nisrim, gli chiede di mettere in mare il suo peschereccio per accompagnarla a prendere l’innamorato a Creta, Giuseppe non esita. Anche se presagisce che il viaggio sarà più pericoloso di quanto non prometta, che non dovrà mettere in gioco solo qualche ora di viaggio imprevisto in acque di cui conosce ogni segreto.

NISRIM si è preparato un viaggio se non di tutto riposo almeno tale da ridurre al minimo i pericoli. Niente barconi per lui, nessuna traversata ad alto rischio di annegamento. Ma il destino ci si mette di mezzo e per complicare le cose sceglie le forme di Hanan, una bimba che si ritrova sola nella barca destinata a seguire una rotta inversa a quella immaginata da Nisrim: quella più pericolosa. I destini del libraio salentino, del profugo siriano e della piccola curda si incroceranno così in modo ben diverso da quello immaginato da Francesca nel pieno di un terribile tempesta.
Rolli non è tanto ingenuo da fingere che fare le cose giuste sia gratuito. Sa che ci vuole coraggio e che il prezzo della generosità può essere salato. Ma sa anche che quel che se ne ricava vale anche di più. Giuseppe, come Nisrim, viaggiano controcorrente rispetto all’egoismo del mondo non solo per senso del dovere e generosità d’animo ma perché sono consapevoli che senza generosità e coraggio la vita si riduce a miserevole sopravvivenza. Il rischio vale la candela.

Nel passaggio più emblematico del romanzo, in una scena surreale che non sarebbe dispiaciuta a Jorge Amado, i profughi, abbandonati ai flutti dai trafficanti in fuga imbracciano tutti gli strumenti e improvvisano un concerto contro gli elementi scatenati che li assediano, per contrappore fede nella vita alla morte che li circonda.