L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha reso finalmente pubblica la delibera con cui più di una settimana fa decise a maggioranza (con l’astensione di Francesco Posteraro e il voto contrario di Mario Morcellini) di infliggere alla Rai una sanzione di un milione e mezzo di euro.

Eppur si muove, si potrebbe commentare, nei riguardi di un’istituzione ormai scaduta da tempo e che certo non verrà ricordata – per questa consiliatura – per attivismo. Tuttavia, l’uscita di scena richiedeva una scelta un po’ diversa. Che senso ha, infatti, punire così l’azienda pubblica (ugualmente finita nel mirino in un altro documento per l’utilizzo del mercato pubblicitario) sulla base dell’art.48 del Testo Unico del 2005 chiudendo gli occhi sul resto del sistema? E di quest’ultimo, divenuto crossmediale e ormai dominato dagli Over The Top come Google o Facebook anche nell’acquisizione delle risorse, la Rai è ormai solo una sequenza. Insomma, l’ultimo atto avrebbe dovuto riguardare non una, bensì più emittenti. Non un pezzo, bensì il tutto con le sue logiche concentrative e poco democratiche.

La lunga prima parte della delibera riguarda le violazioni della par condicio, a danno – si sottolinea – del gruppo parlamentare maggiore, vale a dire «5Stelle». Sarà. Ma le stesse tabelle riassuntive dei dati inerenti alle presenze politiche, da settembre a fine gennaio, hanno messo in luce quanto fosse spropositato il minutaggio assegnato alla Lega e soprattutto a Matteo Salvini. A danno non solo di «5Stelle», bensì dell’insieme degli altri protagonisti. E, comunque, la Rai è solo uno dei peccatori, e neppure il peggiore. Dunque, perché un simile unilateralismo? Si dice per violazioni ripetute del Contratto di servizio che regola i rapporti con lo stato, argomento – però – che poteva essere utilizzato altre volte e sui punti essenziali dell’identità del servizio pubblico. E’ come, in un testo, correggere le virgole e non la sostanza.

Se si scorrono i motivi della sanzione viene il magone. Intanto, dopo aver sottolineato gli strappi sulla par condicio, ecco che una puntata de L’Approdo diretto da Gad Lerner è messa nel mirino per il mancato contraddittorio, vale a dire per l’assenza di Salvini. Surreale, viste le ore a disposizione del leader leghista. E poi, una sciagurata battuta in Realiti, stagionato appuntamento di Rai2. Oppure, la critica per il ruolo assegnato alle donne dal Festival di Sanremo: tema serio e delicato, ma sanzionarlo ex post da parte di un gruppo completamente maschile fa sorridere. Si abbia – se mai – il coraggio di criticare le modalità corrive e sfacciatamente consumistiche con cui si apparecchia l’appuntamento nazional-popolare per eccellenza.

L’elenco delle colpe è lungo e disomogeneo. Una sanzione tanto forte richiedeva una delibera inoppugnabile e selettiva, attenta a separare il grano dall’oglio. Anzi. Se si decide che il ruolo dell’Agcom è puramente burocratico, allora davvero viene voglia di riflettere sugli esiti di una struttura immaginata dalle legge istitutiva per regolare un universo mediatico sempre più dominato da oligarchi duri e autoritari.

La Rai non è affatto immune da limiti evidenti ed errori gravi. La legge voluta da Matteo Renzi nel 2015, che assegnava pieni poteri all’amministratore delegato scelto dal governo, è stata un vero e proprio flop. Il gruppo dirigente non riesce neppure a decidere su avvicendamenti lungamente annunciati, mentre il piano industriale stenta.

Forse, all’Agcom spettava di fare una segnalazione al parlamento sull’urgenza di una seria riforma, in linea con una costante giurisprudenza costituzionale contraddetta proprio dalla legge in vigore.

Peccato, l’Agcom meritava un migliore finale di partita.