Non c’è produzione cinematografica, videogame o serie televisiva dell’ultimo ventennio che restituisca quell’estasi avventurosa e il senso di meraviglia esperibili tramite le imprese di Nathan Drake in Uncharted, trilogia videogiocosa uscita nel corso degli anni sulla Playstation della scorsa generazione. Nell’invenzione di Naughty Dog c’è un’idea di avventura che si fonda sullo stupore conseguente al susseguirsi incessante di eventi rocamboleschi paragonabile a quella che anima l’epopea spielberghiana di Indiana Jones con cui Uncharted condivide l’ironia, l’epica scanzonata, l’esotismo e la facoltà di meravigliare in maniera crescente climax dopo climax, rallentando l’andamento con sapienza ritmica, spettacolare e narrativa solo per il breve tempo di una storia d’amore o di una leggera quanto efficace e mai superficiale introspezione.
Mentre si aspetta un quarto episodio in uscita durante il prossimo marzo, Naughty Dog ripubblica rimasterizzata per Playstation 4 tutta la trilogia di Uncharted in un solo disco, occasione unica per scoprire in una veste splendente tre capolavori del videogioco o per riviverli ancora una volta di seguito, un’esperienza che amplifica la potenza di coinvolgimento della saga e alimenta con un propellente miracoloso il suo motore generante stupore. Prima di infilare il disco nella console sorge il dubbio che la saga, sebbene esteticamente migliorata da un abbagliante restauro, possa essere invecchiata male come succede a tanti videogiochi “antichi” il cui fulgore si attenua se lo si ricerca dopo anni, mentre sarebbe stato meglio conservarlo e tutelarlo nei propri ricordi, come quando si ritorna nei luoghi della propria infanzia solo per rivelarli nella nuova banalità con cui li veste l’occhio meno favoleggiante della maturità e del presente.

Tuttavia bastano davvero pochi minuti immersi in una giungla tropicale sud americana tra la cui flora asfissiante si ergono dimenticate rovine e nelle cui acque fluviali giacciono inspiegabilmente i ruderi meccanici di U-Boat nazisti, per precipitare di nuovo (o per la prima volta) nella malia operata da Naugthy Dog. E risulta immediata l’immedesimazione nel protagonista Nathan Drake, erede del celeberrimo Sir Francis, colto e acrobatico ladro buono di tesori e reliquie cresciuto orfano nei bassifondi e educato dall’avventuriero mascalzone Sully. Pur trattandosi di un personaggio rigorosamente videoludico per la natura delle sue azioni: arrampicate da brivido vertiginoso, sparatorie e scazzottate, esplorazione e risoluzione di enigmi, Nathan che è nato dalla fantasia di Amy Hennig, possiede uno spessore di carattere utile a trasformarlo nel mattatore di una messa in scena elettronica che rischierebbe di essere travolta dall’azione sfrenata se non fosse per il carisma del protagonista e delle sue spalle.
Attraverso più di trenta ore di gioco, se si considera l’insieme di tutti i tre episodi, compiamo un viaggio per il mondo e la sua storia leggendaria sfrecciando sulle montagne russe di un meccanismo ludico costruito e illustrato con coerenza, virtuosismo e arte. In un “tour de force” dell’avventura ci inerpichiamo per scogliere a strapiombo su mari caraibici, scopriamo i segreti letali di El Dorado, ci risvegliamo sul vagone di un treno deragliato sospeso su un ghiacciato abisso dell’Himalaya, ci apriamo la strada in un tempio colossale che cela i misteri di Shangri-la, percorriamo strade segrete sotto Londra, scampiamo da una tsunami che flagella un cimitero di navi, precipitiamo da un aereo per smarrirci in un deserto sconfinato mentre una voce narrante recita i versi di Terre Desolate di Eliot…
Leggera e vivace quanto The Last of Us (il capolavoro dei Naughty Dog) è grave e dolente, la saga di Uncharted rilancia le emozioni “perdute”, forse inutili ma necessarie, dell’avventuroso sognare che accompagnò quei momenti prima dell’avvento del sonno trascorsi ricordando pagine appena lette di Kipling o di Salgari.