È il primo scontro tra il governo e le larghe intese, tra Letta e la sua estesa maggioranza ed è talmente serio che ha deciso di schierarsi anche il presidente della Repubblica. Naturalmente dalla parte del «suo» governo, anche al costo di intervenire direttamente nel lavoro del parlamento. E compiere così un altro passo – non piccolo – nella direzione di un presidenzialismo di fatto.

Oggi con la prima riunione dei «saggi» parte il dibattito sulle riforme costituzionali, ma abbiamo già un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che fa sapere di trovare «inammissibile e scandalosa» una proposta di legge che i senatori della commissione giustizia si apprestavano quasi all’unanimità ad approvare.

Il merito dello scontro conta in questo caso meno del metodo quirinalizio. In ogni caso si parla di giustizia, anche se non dei processi a Berlusconi – e allora l’argomento scivola in secondo piano. Il fatto è che a settembre dovrebbe entrare in vigore la riforma delle circoscrizioni giudiziarie, partita effettivamente nel 2011 dopo anni di discussioni e portata a compimento dal governo Monti come corollario della spending review. Già sul finire della scorsa legislatura dai piccoli tribunali e dalle sedi distaccate sindaci e avvocati, c’era anche l’attuale ministro Delrio, avevano portato a Roma le loro proteste, talvolta argomentandole con effettive esigenze di giustizia (vedi il caso dei tribunali in zone mafiose). Si è aggiunto poi il destino dei giudici di pace (quasi tutti cancellati), fino a che il braccio di ferro tra il governo centrale e i territori è stato risolto dall’ex ministra Severino. Che qualcosa (poco) ha concesso ma ha previsto un periodo transitorio di 5 anni prima dell’effettiva chiusura delle sedi. Intanto il Csm ha smesso di assegnare i magistrati agli uffici periferici.

Al punto in cui siamo, le distanze tra il governo e i senatori non sono abissali (in discussione è la sorte di una quarantina di sedi, su 950 destinate alla chiusura). Ma parlando di piccoli tribunali in parlamento le larghe intese diventano larghissime (dentro anche M5S e Lega) e la commissione stava per approvare una proroga di un anno alla riforma per costringere il governo a trattare. Quando è intervenuto il presidente della Repubblica. Secondo Napolitano le richieste del territorio altro non sono che «ciechi particolarismi», formula da ricordare la prossima volta in cui ci si lamenterà della lontananza tra eletti ed elettori.

Sospinta dall’ossequio che tutta la maggioranza porta al capo dello stato, la legge di proroga potrebbe trasformarsi in una semplice mozione per chiedere al governo una tregua. La ministra Cancellieri, ringraziando Napolitano per «il grande supporto», ha già convocato i senatori per una trattativa riservata. Qualcuno tra loro, come il democratico Casson o il grillino Giarrusso ha rivendicato «l’autonomia degli organi costituzionali», e in un regime ancora parlamentare in effetti dovrebbe essere così. Ma parlamentarismo e presidenzialismo non vanno d’accordo, come anche una piccola vicenda come quella dei piccoli tribunali può rammentare ai riformatori della Costituzione.