Alle 11.45 atterrerà sulle piste di Fiumicino un aereo proveniente da Tel Aviv. Mischiati ai normali passeggeri ce ne saranno cinque con in tasca una sentenza storica. Sono di nazionalità eritrea, avevano provato a raggiungere l’Italia 11 anni fa, ma erano stati respinti il 30 giugno 2009 dalla nave militare Orione. «Per la prima volta si stabilisce che siccome sei stato vittima di un respingimento, cioè di un atto illegittimo del governo italiano, allora puoi fare ingresso sul territorio nazionale per far valere il tuo diritto a chiedere asilo», afferma Cristina Cecchini, avvocata dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che ha seguito il procedimento.

I cinque migranti salirono su un gommone all’alba del 29 giugno 2009, lasciandosi alle spalle le coste libiche. Insieme a loro altre 84 persone (tra cui 3 bambini e almeno 9 donne). Condizioni del viaggio critiche: poca acqua, poca benzina, motore in avaria. Alla richiesta disperata di aiuto rispose nel tardo pomeriggio dell’1 luglio l’imbarcazione della marina, rassicurando i naufraghi. «Eravamo esausti, affamati, spaventati ma quando capimmo che erano italiani pensammo che finalmente tutto sarebbe andato per il verso giusto», ha detto uno di loro agli avvocati. Invece la mattina seguente si svegliarono scorgendo Tripoli oltre la prua. «Protestammo e alcuni di noi furono picchiati dagli italiani. Uno fu ferito gravemente e quando lo misero a bordo della motovedetta libica era svenuto per i colpi», hanno raccontato. Dopo il respingimento, illegale come quelli che hanno riguardato centinaia di persone tra il 2009 e il 2010, furono portati nei centri di detenzione governativi di Zwara, Misurata e Tajura, sottoposti nuovamente a violenze e torture.

Immagini del respingimento del 30/06/2009

Rilasciati dopo una lunga detenzione, gli 89 prendono strade diverse. Tra quelli che ritentano la pericolosa via del mare qualcuno riesce ad arrivare in Europa e ottenere asilo politico in Svizzera o Germania. Altri muoiono in successivi naufragi. 16 provano il lunghissimo cammino via terra. Attraversano l’Egitto e il deserto del Sinai, arrivano in Israele ma rimangono prigionieri delle dure leggi anti-profughi. Amnesty International, però, li rintraccia. In 14 intraprendono con Asgi un’azione legale al tribunale civile di Roma. Il 29 novembre 2019 il giudice ordina il rilascio di un visto di ingresso per accedere alla procedura di asilo in Italia e condanna il governo al risarcimento danni. Ai 5 che arrivano oggi si aggiungeranno presto altri 3 in attesa del permesso per le famiglie. Dispersi i mancanti, a volte vittime di deportazioni in altri stati africani da parte di Israele.

«È una sentenza storica perché stabilisce un principio importantissimo: anche se il tuo unico contatto con il nostro paese è stato un diniego illegittimo all’ingresso hai diritto a presentare domanda di protezione. Potrà essere applicato in molte altre situazioni, come quelle che avvengono negli aeroporti o nei porti dell’Adriatico», afferma Salvatore Fachile, l’altro legale che ha patrocinato il procedimento.