Ogni volta, al rientro, per trovare la pensione esitavamo a orientarci in quell’intrico di stradine racchiuse da via dei Fossi, via della Spada e via della Vigna Nuova. Queste ultime avevano un tracciato regolare e delineavano sulla pianta della città un triangolo isoscele quasi perfetto. Quando ce ne uscivamo si attraversava l’elegante via Tornabuoni, tangente a un vertice del triangolo, e costeggiavamo palazzo Strozzi puntando verso piazza della Repubblica che di rado superavamo. Sul lato dei portici si apriva un bar, uno dei bar storici della piazza che nella prima metà del secolo aveva funto da centro della vita culturale del paese. Ma ammesso che ne fossimo stati consapevoli, sorvolavamo su quei trascorsi. A meno di due anni dall’alluvione che aveva causato lo straripamento dell’Arno, Firenze era stata tirata a lucido e brulicava di turisti, stimolati a vederne la rinascita. A casa ci lasciarono partire condividendo la nostra scelta di visitare una città d’arte che, si diceva, sarebbe risultata formativa a dei diciottenni.

L’estate finiva e a mezza mattinata andavamo a quel bar sedendo ai tavolini, contornati da vasi di cipressi, in compagnia di due ragazze della provincia di Vicenza. Le avevamo conosciute appena spintici fino a Santa Maria del Fiore. Si era fatto subito gruppo, come succede fra coetanei, sì da passare quella settimana fra il bar della grande piazza e le stradine all’interno del triangolo isoscele. Da cui, del resto, non avvertivamo alcun bisogno di uscirne: in una trattoria di via della Spada si mangiava benone con meno di mille lire; che dire poi dell’alloggio rivelatosi di assoluto comfort? E questo perché le due ragazze venete agganciate in strada – quando è il caso che stabilisce le cose – dormivano nella stessa pensione dove stavamo noi. Incredibile! Rientrando la sera, per non dare adito al portiere (che era anche il proprietario della pensione) di aver fatto comunella, le ragazze ci precedevano di dieci minuti. Una volta dentro, poi, era davvero un giochetto infilarsi nella loro camera e… buonanotte.

La piega continuò fino alla loro partenza, che anticipò la nostra di un giorno. Nel quale, allontanandoci dai confini del triangolo, cercammo d’interiorizzare in modo generico la conoscenza di alcuni monumenti essenziali. Dovevamo pur dimostrare, al ritorno, di esserci sensibilizzati verso lo studio della storia dell’arte, materia basilare – sostenevano i professori a scuola – per la formazione di buoni studenti. Con le due ragazze del vicentino scambiammo qualche lettera e le fotografie scattate a Firenze. Le promesse fatteci, che già al momento sapevamo di disattendere, preludevano alla certezza che non ci saremmo più rivisti.