La sera ci s’incontrava coi nottambuli dell’Elios Club. Ogni sera. Erano gli anni dei club, di quei ritrovi le cui finalità ricreative spaziavano dall’impegno per la politica alla passione per la musica, fino al settarismo negli sport a squadre. Ma per molti, giovani e meno giovani, ciascuna di quelle finalità serviva da pretesto affinché, semplicemente, ci si potesse frequentare con l’altro sesso. Il club rappresentava l’opportunità per rientrare nel giro, specie se si era mancati per un certo tempo dalla propria città. Anche il forestiero, trovandosi per studio o per lavoro, aveva possibilità di relazionarsi rapidamente attraverso l’iscrizione al club. Che disponeva di salette arredate di divani, tavoli con sedie, banco-bar, un motivo ininterrotto in sottofondo e carte da gioco a richiesta.
L’Elios Club era stato aperto verso la fine degli anni ’60. Accoglieva persone mature reduci da rapporti falliti, ben disposte a ricominciare una storia. Non era proprio quello adatto per matricole d’università (in parcheggio) nei primi dei ’70, ma avendo intrapreso a praticarlo nel periodo carnevalesco di balli e lazzi continuammo ad andarci fino a quasi l’arrivo dell’estate. Il club diventò un rifugio, un’abitudine, luogo raccogliticcio per noi che, incostanti nei legami, sfarfallavamo di giorno in cerca di qualcosa che non c’era o non trovavamo. A sera invece ci accasavamo all’Elios, dove scoprimmo il tressette: un gioco vecchio con le carte, di origine napoletana. Vecchio perché lo facevano gli anziani in osteria. Entravano per un bicchiere a partita e (vincendo o perdendo era la stessa cosa) ne uscivano tutti allegri. Nel tressette due coppie di persone si distribuiscono un mazzo di 40 carte e ogni giocatore risponde con lo stesso seme a chi apre la mano. La cosa divertente è che le coppie comunicano con colorite espressioni gergali. Si gioca anche in tre ma in tal caso subentra il “morto”, indispensabile per fungere da quarto giocatore.
Sull’altro lato della strada c’era un albergo e una sera che facevamo la partita con il morto, in una delle salette, il nostro colloquiare in codice venne sovrastato da un insolito vociare. Quasi subito fece capolino una figura longilinea con la testa contornata da una capigliatura fittamente arricciata: Maurizio Vandelli dell’Equipe 84, il gruppo musicale in voga del periodo, si era materializzato sull’uscio. Trovandosi in tournée alloggiava nell’albergo di fronte e a fine serata non ebbe di meglio che infilarsi all’Elios. La saletta s’inondò d’improvvisati estimatori e noi altri, sorpresi ma non confusi, lo invitammo a sedere al posto del “morto”. Si accomodò, qualcuno gli mise in mano una chitarra e insieme cominciammo a canticchiare, in pieno inverno, “Una giornata al mare”.