Quando arrivi a Lublino, avverti subito la percezione di un’assenza. Per strada, il chiacchiericcio dei turisti rimbomba nel vuoto di un passato cancellato. In questo angolo della Polonia orientale aveva vissuto per secoli una delle comunità ebraiche più antiche e fiorenti di tutto il Paese. C’erano sinagoghe, istituzioni sociali e culturali. E ancora, la scuola rabbinica Yeshiva Chachmei Lublin, tra le più importanti al mondo.
Ma poi venne la guerra e la Shoah. Nel giro di pochi anni Lublino divenne il centro logistico e organizzativo dell’Olocausto in Polonia. Da qui partivano gli ordini degli ingegneri dello sterminio, qui si pianificava la costruzione dei campi di concentramento. Belzec, Sobibor, Treblinka. Quello di Majdanek è appena fuori città. Lì migliaia di ebrei furono deportati e uccisi nelle camere a gas, gli altri trovarono la morte fucilati nelle foreste nere che circondano Lublino.

Saccheggiate case e negozi, dell’antica sinagoga resta solo una targa. Erano quarantatremila gli ebrei, ne sopravvissero poco meno di trecento. La terra grondava ancora di sangue quando l’orrore della Shoah precipitò nell’oblio. Avevano fretta i comunisti, una dannata fretta di disfarsi di quel passato. Il ghetto ebraico fu raso al suolo, casa dopo casa, strada dopo strada. Una colata di asfalto a cancellare la memoria di una convivenza secolare tra cristiani ed ebrei. E fu su quell’amputazione che si gettarono le basi della Polonia odierna: pura, omogenea, cattolica.

PER TRENT’ANNI Tomasz Pietrasiewicz non sentì parlare di quella storia. A Lublino ci si era trasferito da piccolo, ma mai avrebbe pensato che sotto le strade che percorreva ogni giorno ci fossero ancora le fondamenta dell’antico ghetto ebraico. «Non sapevamo nulla della storia degli ebrei a Lublino, di quel vuoto che aveva risucchiato la memoria della città ebraica – racconta Pietrasiewicz – È stato scioccante scoprirlo. A quel punto potevamo scegliere: far finta di nulla o impegnarci nel recupero di quella memoria».
Inciampare in quella storia è stata come una folgorazione. Da allora, Pietrasiewicz ha iniziato a scavare in quel vuoto per ricostruire pezzo dopo pezzo il puzzle delle vite spezzate dall’odio antisemita. Come quella di Henio Zytomirski, il bambino ebreo di Lublino che trovò la morte nel campo di concentramento di Majdanek all’età di nove anni, e divenuto l’emblema del milione e mezzo di bambini vittime dell’Olocausto.
Ispirato dalla foto di quel bambino che non vide mai il suo decimo compleanno, Pietrasiewicz ha dato vita al Grodzka Gate – NN Theatre, un «arco della memoria» come lo definisce il suo fondatore, che raccoglie migliaia di fotografie, diari, libri, documenti, registrazioni di quelle vite che si voleva cancellare per sempre. «Chi ha perpetrato l’Olocausto voleva gettare la massa degli ebrei uccisi negli abissi dell’oblio, eliminare ogni traccia della loro esistenza, renderli anonimi, NN, senza nome. Il nostro lavoro è cercare di ricomporre i loro destini, strapparli così all’oscurità».

IN EFFETTI, LA CREATURA di Pietrasiewicz – un po’ museo, un po’ centro culturale, un po’ biblioteca – si trova all’interno del Grodzka Gate, l’antica porta costruita nel 1342 che collegava la parte cristiana di Lublino a quella ebraica, una scelta simbolica quasi a voler costruire un ponte ideale con un passato di convivenza pacifica tra religioni.
L’edificio si sviluppa in verticale: ai piani inferiori le stanze buie, piene di faldoni, uno per ciascuna famiglia di ebrei che abitava a Lublino prima della guerra. E poi su, fino all’attico, luminoso, dedicato alle storie dei Giusti tra le nazioni. Nel mezzo anche i locali in cui era stata nascosta una bambina ebrea, proprio lì in quella che ora è la sede del Grodzka Gate – NN Theatre.

AVEVA SOLO quattro anni quando una famiglia di Lublino riuscì a strapparla a quel destino di morte a cui andarono incontro i suoi genitori. Oggi sul pavimento grigio di quell’unica stanza da cui era costituita la casa, delle scritte bianche a caratteri cubitali indicano la disposizione delle camere, quasi a rappresentare la scena di un crimine che spezza la quotidianità della vita.
Il Grodzka Gate – NN Theatre è questo: non un monumento, ma una reazione al tentativo di insabbiare il passato o di edulcorarlo, perché ricordare è l’unico modo per evitare futuri conflitti. Eppure «è stato più semplice ricostruire un edificio che un’idea», ammette Pietrasiewicz che oggi vede Lublino ripiombare nell’incubo dell’antisemitismo. Lui stesso ne è stato bersaglio. Minacce, ordigni posizionati di fronte alla sua casa, manifesti denigratori contro una presenza scomoda in una città che non ha mai fatto i conti con il proprio passato, una città divenuta ormai il laboratorio della destra sovranista di Jaroslaw Kaczynski.
È qui che il leader di Diritto e Giustizia (PiS) fa incetta di voti, nel cuore della Polonia orientale, la parte più povera e conservatrice del Paese, ma anche quella che ha subito le mutilazioni più profonde durante e dopo la Seconda guerra mondiale con lo sterminio degli ebrei e le deportazioni degli ucraini. Terra di fantasmi e di sradicati, Lublino si è risvegliata dal conflitto priva di quella diversità etnica e religiosa che la caratterizzò per secoli.

UN TRAUMA mai rielaborato, soppresso a colpi di rimozione selvaggia, oggi esposto al vento del revisionismo. «Tuttora, racconta Pietrasiewicz, la storia della comunità ebraica di Lublino non è molto conosciuta. Nelle scuole si tende a omettere o minimizzare queste informazioni. Sempre più spesso vengono passate sotto silenzio le complicità e le delazioni dei polacchi contro gli ebrei durante l’occupazione nazista prima e il comunismo poi». Una tendenza sdoganata dalla politica revisionista della destra di Kaczynski che si è spinta fino all’approvazione della legge sull’Olocausto che nella versione originale prevedeva il carcere per chiunque parlasse o scrivesse delle complicità dei polacchi nella Shoah.
La legge è cambiata, ma immutato è l’imperativo di veicolare un’immagine della Polonia a senso unico, una Polonia innocente e vittima dei nazisti, una Polonia immemore di quel multiculturalismo che un tempo costituiva il suo genius loci. «Lublino ha spesso attinto a quella storia per promuovere una certa immagine di se stessa, una città aperta e inclusiva delle diversità. Forse la nostra visione era un po’ naïve. Basta guardarsi intorno per accorgersene: le relazioni tra polacchi ed ebrei si stanno deteriorando, la città è percorsa da movimenti nazionalisti, xenofobi, antisemiti. E tutto questo con il sostegno implicito, quando non palese, della Chiesa».
Pietrasiewicz fissa l’enorme spazio vuoto creato dalla distruzione del ghetto. Quell’assenza che aveva sempre percepito ora è gravida di ostilità contro chi come lui si ostina a ricordare e a vagheggiare di una società aperta. «Il mondo in cui viviamo avrebbe bisogno di più porte come la nostra. Noi ci siamo presi la responsabilità della memoria della città ebraica di Lublino e della sua liquidazione. Questo sangue chiede ricordo, preghiera, giustizia. E noi continueremo, nonostante tutto».