C’è un esercito fragile che si aggira per le città, un esercito di oltre settecentomila insegnanti sulle cui spalle, ogni mattina (e anche nel resto della giornata) pesano precarietà, flessibilità, responsabilità. È di questo esercito, paragonato a quello di statue dell’imperatore Shi Huang, che parla Michele Canalini nel suo recente saggio, L’insegnante di terracotta (Mimesis Eterotopie, pp.84, euro 12).
L’autore è un docente di un istituto professionale della Lunigiana, ed è dalle sue esperienze che vuole partire per mettere nero su bianco le difficoltà e i timori di un lavoro che – per quanto sia svolto nel mezzo di una socialità – lascia più che mai disorientati, soli e abbandonati nell’elaborazione di un metodo di insegnamento adatto ai tempi e alla società contemporanea. Domande che, in mancanza di solide comunità capaci di elaborarle, Michele rimette ai lettori, come in una bottiglia lasciata in mare, sperando che possa essere fonte di stimoli e nuovi confronti.
Come denotato anche dal sottotitolo del libro – La Buona Scuola… e poi? – il saggio nasce nell’estendersi del dibattito sulla Legge 207/2015, quindi a seguito dell’introduzione della cosiddetta «Alternanza scuola-lavoro», che prevede un monte orario di quattrocento (per studenti di scuole professionali e tecniche) o duecento ore (per licei) da dedicare all’acquisizione di competenze adeguate al mercato del lavoro. Alternanza che, oltre a ridefinire i compiti di uno studente ridisegna il ruolo dell’insegnante, richiedendo a quest’ultimo di sviluppare una preparazione per affiancare gli studenti dentro e fuori la scuola, per districarsi nella giungla delle professioni. Un trasformismo sempre dato per naturale e assodato, che chiede a un docente non solo di saper trasmettere una disciplina, ma di agire in modo acritico una serie di dispositivi che vanno ben oltre l’insegnamento.
È anche per questo che, ricorda Canalini, negli ultimi anni si finisce per parlare sempre più spesso di burnout, rischio di esaurimento psico-fisico dei lavoratori della scuola, portando nel 2012 a costituire un Osservatorio nazionale della salute e del benessere degli insegnanti (Onsbi,) atto a studiare il logoramento psicologico dei docenti e ad avanzare proposte in merito.
Sicuramente, connesso a questo problema, è l’utilizzo spasmodico delle nuove tecnologie di comunicazione nel lavoro di insegnante, di cui ormai è diventato un simbolo il famoso gruppo whatsapp dei genitori, a volte addirittura in contatto diretto con gli insegnanti. Non solo si rafforza così il senso di lavoro diffuso, ma si intensifica un meccanismo di valutazione dell’insegnante-lavoratore da parte dell’istituzione familiare, un rapporto estremamente complesso da analizzare, che ha ricadute nel dibattito pubblico (vedi vaccini) o porta l’emergere del cosiddetto homeschooling, che negli Stati Uniti conta più di due milioni di giovani.
Le riflessioni di Canalini sgorgano dall’esperienza vissuta in prima persona, e raccontano un mondo sempre più vittima di un’accelerazione incontrollata e di cui è succube, nella quale appare sempre più ovvio che un sano dibattito epistemologico per la riappropriazione di una scuola a misura d’uomo non può che essere un dibattito politico.