Qualche anno fa a Pechino c’era un cinese, il signor X, conosciuto da quasi tutta la comunità straniera. All’epoca – come oggi – i laowai, gli stranieri, avevano periodicamente un problema: trovare una soluzione per ottenere un visto. X. rispondeva in pieno a questa necessità: arrivava in ogni luogo, portava i documenti, prendeva i passaporti (e i soldi) e una settimana dopo tornava con il visto. «Serve altro», chiedeva alla fine della consegna. Di solito la risposta era un seco no. Poi l’ufficio immigrazione cinese ha complicato le cose: non servivano solo un documento, una firma e due foto. Ha cominciato a chiedere lettere di invito, timbri, e le foto, come al solito, ma con una novità: dovevano essere su sfondo azzurro. X., il nome fittizio del nostro Mr Wolf cinese, arrivava in casa dello straniero, si sedeva e di solito si accontentava di un bicchiere d’acqua calda. Una volta accettò anche una birra, un’altra incontrò diverse persone in un ristorante e accettò di buon grado la cena (una huoguo, la pignatta mongola). Si rilassava e poco dopo faceva uscire dalla sua ventiquattrore un po’ stracciata alcuni fogli, firmati con timbri e contro timbri e tirava fuori un cartone azzurro. Lo appendeva al muro, chiedeva di mettersi in posa e scattava la foto. Poi, per dimostrare quanto fosse famoso tra gli stranieri, mostrava le immagini di tutti quelli che aveva in precedenza aiutato a fare il visto, alla faccia della privacy.

Personaggi di questo tipo in Cina ce ne sono molti: come ad esempio quelli che, appena entrato in banca per cambiare i soldi, ti propongono un cambio più vantaggioso, in nero. Sono i cinesi che vivono di espedienti e che molto spesso sono arrestati per le loro attività. Si muovono in tutte le grey zone, come dicono in Cina, consentite: documenti falsi, dvd, taxi abusivi, carretti per trasporti, bagarini di qualsiasi genere. È una parte curiosa e tipica della nuova Cina. Esprimono la contraddizione di una città come Pechino – e non solo – che diventa sempre più invivibile, sempre più giungla sociale, sempre più cara.

Il personaggio principale del bel romanzo di Xu Zechen Correndo attraverso Pechino (Sellerio, euro 15) rappresenta in pieno questa nuova categoria di persone in Cina: arruffoni, sempre alla ricerca della soluzione della vita, ben sapendo che la propria rete di guanxi, il proprio network relazionale, li condannerà per sempre ad una vita periferica, rispetto a dove si muove e agisce il potere, ovvero i soldi, la ricchezza, l’agiatezza. Il protagonista del libro – Dunhuang – più romantico e con una verve intellettuale decisamente più alta del traffichino cinese comune – esce dal carcere, dopo essere incappato in un controllo della polizia, a seguito delle sue attività inerenti alla produzione di documenti falsi. Non viene specificato l’anno in cui è ambientata la storia, ma si può presupporre che sia prima le Olimpiadi pechinesi del 2008, tra il 2000 e il 2006. Perché una volta uscito di carcere, il protagonista trova nella vendita di divd pirata la soluzione economica della sua vita. Oggi ci sono tanti negozi che vendono questi prodotti. Un tempo la strada era decisamente il modo più diffuso per questo tipo di commercio. Cominciavano ad arrivare anche in Cina le serie tv e i primi film occidentali, precedentemente vietati nel paese. Dunhuang, ha un bel giro, ritrova la fidanzata, o presunta tale, del suo ex compagno di scorrerie nel mondo dei documenti falsi e ogni giorno deve inventarsi un modo per tirare avanti: trovare una casa economica, un pranzo. Inventa soluzioni, anche creative, e cerca l’occasione che gli cambierà l’esistenza. C’è un dialogo in questo libro spassoso e reale, per chi ha vissuto a Pechino, che esprime benissimo il cambio di paradigma della società cinese, attraverso il rovesciamento del significato della parola «borghese».

Avviene durante un pranzo di Dunhuang con un amico. Quest’ultimo ha appena aperto un negozio di dvd (che sul retro però ha le copie pirata che fornisce agli ambulanti come Dunhuang). Il tipo è ambizioso e parla in modo negativo di chi non ha la voglia di fare i soldi, di sfondare, di svoltare. Queste persone – nel corso della conversazione – sono definiti spregiativamente «borghesi», ovvero «senza palle, senza ambizioni». Avviene dunque un rovesciamento del significato della parola: il borghese, un tempo considerato negativo perché controrivoluzionario, oggi è etichettato in modo negativo, perché pusillanime, poco coraggioso, rispetto al proletario, ovvero colui che nella nuova Cina cerca la ricchezza, in modo spudorato. È un breve dialogo del libro di Correndo attraverso Pechino, che dice molto di più di tanti libri pubblicati, anche in Italia, di pseudo fenomeni letterari che rappresentano in realtà ben poco la straordinaria vitalità – e durezza – dell’attuale potenza asiatica.