“Ogni racconto ha la sua necessità» secondo Costanza Quatriglio, cineasta narratrice del suo tempo. E alla base di Con il fiato sospeso, fuori concorso a Venezia il 31 agosto, c’è l’urgenza diversa eppure medesima dei tempi del feroce e tenero Ècosaimale? (documentario del 2000, nelle periferie geografiche e antropologiche di Palermo), di un oggi da meditare, di un presente che deve farsi pensiero collettivo in continua costruzione. «E’ una piccola grande narrazione in un certo senso epica, di formazione, una di quelle storie che dovrebbero entrare dalla porta principale del cinema di finzione e spesso, invece, restano fuori» afferma la regista siciliana. Finzione, sì, perché è la strada che la Quatriglio in Con il Fiato sospeso sceglie per addentrarsi nel reale, interrogarlo, ma senza farne cifra assoluta, quanto invece scelta estetica permeabile al segno, al seme del reale, alla sue immagini, al dubbio (così come era accaduto, per altri versi, nel bellissimo L’isola, alla Quinzaine di Cannes 2003). Cercando, cioè, il cinema nell’attrito fra riscrittura e registrazione, ad esempio inserendo la sua voce, un’intervista, forma del documentario, dentro la messa in scena, dentro la recitazione, o immettendo all’improvviso l’istante di realtà che si fa svelamento. «I modi di raccontare il presente – continua – sono tanti, ma è indispensabile astrarlo dalla cronaca, dargli una forma drammaturgica, renderlo storia di tutti. La narrazione del presente è stata troppe volte messa da parte dal cinema di fiction, si è così creato l’equivoco che fosse solo prerogativa del documentario. E per presente non intendo solo tragedie, come quella di Con Il fiato sospeso, ma le diverse trasformazioni del nostro tempo».

In 35 minuti la storia di Stella (Alba Rohrwacher), dedita con passione e sacrificio alla ricerca nei laboratori di chimica della Facoltà di Farmacia a Catania, e della sua amica e coinquilina Anna (Anna Balestrieri della band Black Eyed Dog), che nel frattempo ha abbandonato gli studi per impegnarsi nella musica con il suo gruppo indie-punk. È Anna a tentare di convincere Stella a lasciare tutto, mentre nei laboratori iniziano a registrarsi sintomi e malori strani, che i professori si limitano a definire mere coincidenze. Sulle immagini, di tanto in tanto, s’adagiano le parole (affidate a Michele Riondino) del diario di Emanuele, anche lui ricercatore nei laboratori. Due personaggi di fantasia, quelli femminili, in cui confluiscono veri pezzi di biografie altrui, e brani di un memoriale-denuncia sulle nocive condizioni degli ambienti di ricerca, scritto durante il corso di dottorato in Scienze Farmaceutiche dell’università di Catania da Emanuele Patanè, ucciso da un tumore al polmone nel 2003. «Non volevo che la voce di questo diario somigliasse a quella di Emanuele, ma piuttosto astrarre quelle parole e farle diventare parole di tutti. La prima volta che sentiamo la voce di Riondino, le immagini ci mostrano tanti ragazzi, non sappiamo di chi sia: Emanuele è ciascuno di loro, ciascuno di noi. Il film è in bilico sul filo della narrazione, fino a quando questa sospensione si inchioda alla bruttezza della realtà e, allora lì, non c’è più corpo, musica, dolcezza o tenerezza che tengano».

Film che ha iniziato ad assumere un vago profilo alla fine del 2008, poco dopo la chiusura dei laboratori di chimica della Facoltà di Farmacia di Catania per il sospetto di inquinamento ambientale, locali poi dissequestrati un anno dopo. È in corso un processo per disastro e gestione di discarica non autorizzata a carico dei vertici dell’Università. Da quel 2008, addentrandosi in una «storia degna di Leonardo Sciascia», la Quatriglio si è imbattuta in casi simili a quello di Emanuele, altri giovani morti o ammalatisi di cancro, ha raccolto le testimonianze di ricercatori e dottorandi di varie università, arrivando così alla dolorosa registrazione di uno stato delle cose generale. Un film per molto tempo concepito, e in modi diversi, come lungometraggio ma realizzato dalla regista in pochissimo tempo, in forma più breve, solo nel maggio di quest’anno, senza che all’inizio vi fosse una produzione ufficiale a sostenerlo, quanto piuttosto un collettivo di professionisti che ha creduto molto nel progetto. Poi, l’assetto produttivo si è definito con l’ingresso della Jolefilm e con l’Istituto Luce Cinecittà per la distribuzione.

Con il fiato sospeso sta nel mezzo di una stagione vivissima per la Quatriglio. Arriva dopo Triangle, documentario ancora su diritto al lavoro e alla sicurezza, girato in Puglia lo scorso dicembre e al montaggio nei prossimi mesi, un cortocircuito narrativo fra la morte delle operaie nell’incendio della Triangle Waist Company, a New York nel 1911, e quella delle lavoratrici, un secolo dopo, sotto il crollo della palazzina di Barletta, sede di una maglieria. E non molto tempo è passato da Terramatta;, il Novecento secondo lo scrittore analfabeta Vincenzo Rabito, presentato a Venezia un anno fa alle Giornate degli Autori e Nastro d’argento per il miglior documentario 2013. La riflessione urgente sul suo tempo, sul proprio Paese, non s’arresta e anzi s’affila. «La storia di giovani universitari costretti a studiare a fare ricerca in laboratori di chimica insalubri e dannosi è per me la metafora di come l’Italia sia, oramai, il Paese che divora i suoi figli. Con il fiato sospeso è la storia di un tradimento». Perché, ancora una volta secondo la Quatriglio, il cineasta occorre che dica, doverosamente.