Romano Prodi si schermisce, ma si capisce che l’idea, a dir poco, non gli dispiacerebbe. L’ex presidente dichiara ieri al Corriere della sera: «Non ho nessuna intenzione di fare il presidente della Repubblica. Non ho mai avuto lo sguardo rivolto al Colle, mai, neppure per un momento». L’amarezza che gli ha procurato la vicenda dei 101 grandi elettori Pd che lo hanno impallinato nel 2013 è nota, ma lui giura che non c’è «nessuna ferita da chiudere, perché il problema non si era mai aperto». Dopo il fondo di Repubblica che di fatto ha aperto la corsa al Quirinale, il toto-Colle impazza. E la regola è sempre quella, da cinquant’anni a questa parte: i primi indicati sono i nomi da depennare, da escludere dal gioco. Come i primi indiziati di un giallo di Agatha Christie.

Così nel week end e ancora ieri è stato un carosello di nomination impossibili. A Omnibus (La7) il combact-renziano Roberto Giachetti ha perorato l’accordo con i grillini. «Per l’elezione del presidente della Repubblica sarebbe una cosa buona se si trovasse un accordo che coinvolgesse i 5 stelle. Questo potrebbe portare uno scombussolamento anche all’interno di quel partito». Il messaggio è quello della scuderia ’giglio magico’ al Cavaliere: se tira la corda sull’Italicum, al Colle si ritroverà un inquilino indigesto. Giachetti, ex radicale, riesuma un evergreen: «La figura di Emma Bonino potrebbe essere condivisa visto che era nella rosa la scorsa volta», conclude. La radicale Bonino, che da mesi – e cioè da quando ha lasciato la Farnesina nel passaggio di consegne fra Letta e Renzi – diserta le riunioni radicali e si occupa solo di politica internazionale, notoriamente non è nel parco-papabili di Renzi. Ma in realtà sarebbe perfetta: non sgradita ai 5 stelle, non avrebbe la contrarietà di Berlusconi che nel ’94 la nominò commissaria europea – certo poi è passata molta acqua sotto i ponti – e comunque non ha mai smesso di condividerne le battaglie garantiste.

Nel totonomine entra anche Anna Finocchiaro, che da anni accarezza l’idea di essere la prima donna al Colle. Digeribile per Forza Italia (da presidente della commissione Affari Costituzionali del senato è stata la punta di diamante del trattativismo con gli azzurri sulle riforme), sarebbe però indigeribile per i 5 stelle causa la famosa foto che nel maggio 2012 la ritraeva da Ikea con un uomo della scorta che le spingeva il carrello. Per la Velina Rossa, agenzia liberamente dalemiana (proprio come Finocchiaro) la polemica è uno «strumento irricevibile per screditare un personaggio, che avrebbe, da sola tra le sue colleghe, i requisiti necessari per diventare presidente della Repubblica». In ballo anche Walter Veltroni. Il fondatore Pd è stato il primo della ’vecchia guardia’ a autorottamarsi, annunciando di non candidarsi al parlamento nel 2013. Fu un bel regalo a Renzi: dal suo gesto scaturì l’esclusione forzosa di molti altri, D’Alema innanzitutti. Primo ispiratore della vocazione maggioritaria dem, che oggi Renzi pratica senza economia, con il voto segreto Veltroni è però espostissimo al franco tiratore dem. E, a proposito, ieri anche Massimo D’Alema ha tracciato il suo identikit: il capo dello Stato, ha avvertito, «non può essere eletto al Nazareno». Lui sa di «non essere nelle grazie del segretario». La sua preferenza va per una donna: «Il paese è stramaturo su questo». Quanto al Pd, Renzi e Berlusconi, affini «nel dire delle cose e farne altre» non sperino che la sinistra interna molli il colpo: «C’è molto senso di responsabilità… Ma se qualcuno pensa che la sinistra abbia smobilitato, sbaglia i suoi calcoli e si troverà qualche sorpresa. Una parte del partito potrebbe assumere un’attitudine più combattiva».

Nel Pd la situazione inizia a ingarbugliarsi. Tanto che la soluzione augurabile, come come l’anno scorso, resta la permanenza di Napolitano al suo posto. «Dobbiamo auspicare tutti quanti nell’interesse del Paese che Napolitano resti al suo posto il più a lungo possibile, perché è il miglior presidente della Repubblica che questo Paese ha avuto», ha detto ieri da Firenze il presidente Matteo Orfini, che era anche stato il primo, nella primavera scorsa a parlare del secondo giro di Napolitano. I successori, a continuato, «li vedremo quando avrà terminato il suo mandato o quando deciderà di terminarlo anticipatamente. Cosa che spero che non avvenga».