Il Toro, dopo una lunghissima traversata nel deserto, è tornato a casa. Anni di patimenti e frustrazioni, proteste, polemiche, sono finite ieri dentro il nuovo catino fondato sulle ceneri del vecchio impianto costruito nel 1926.

Il nuovo stadio Filadelfia sorge dove il romanticismo incrocia la follia e la feroce resistenza dei tifosi granata che per decenni hanno tenuto alta la bandiera di un simbolo che non hanno voluto abbattere. Nonostante le disgrazie societarie, le retrocessioni, i debiti, e soprattutto le dimensioni di un mito che in troppi e per troppo tempo hanno vissuto come un pesante fardello.

Dove hanno sfilato migliaia di appassionati e tifosi, cuori granata di ogni classe e di ogni età, in tempi remotissimi giocò la squadra degli “invincibili”, il Grande Torino: la storia è nota. La squadra di Bacigalupo e Mazzola che si schiantò contro la collina della basilica di Superga il quattro maggio del 1949. Se non si fossero sfracellati in un giornata di pioggia, se la loro fine non fosse stata tanto epica quanto le loro vittorie, oggi il Filadelfia non esisterebbe.

La lunga ombra della storia, nonostante i decenni trascorsi, si è trasformata in materia ed ha portato alla nascita di una tribuna coperta, due campi da calcio e piccoli spalti per quattromila tifosi: è il nuovo Filadelfia, inaugurato con tanto di taglio di nastro dalla sindaca Chiara Appendino, bianconera sfegatata, e Sergio Chiamparino, ultras granata che, di fatto, è il vero artefice della resurrezione del Filadelfia e probabilmente anche del Torino.

Una festa popolare che ha radunato un popolo che vive all’ombra dell’altra, ingombrante, squadra della città. Fin dalle prime ore del mattino i tifosi si sono riversati n via Filadelfia, la lunga retta di cemento stretta tra alti palazzi costruiti durante il boom edilizio della Torino del miracolo economico. Un quartiere piccolo borghese che tra gli anni sessanta e settanta ha accolto il ceto impiegatizio della Fiat: una classe suddivisa tra torinisti e juventini. Gli operai invece erano prettamente bianconeri quelli genereci, mentre gli specializzati tifano Torino. Dirigenti, filo padronali ça va sans dire. Categorie vecchie, cliché ormai scomparsi sotto i colpi della “trasformazione”.

Il Torino degli anni quaranta era la squadra dei torinesi, che si ritrovavano nello Stadio Filadelfia per tifare, trentamila ogni domenica, la squadra che doveva trascinare fuori dalla macerie della guerra una città vinta.

Solo pochi superstiti di quel tempo ieri erano presenti alla festa del nuovo Filadelfia. Ricordi lontani, venati di malinconica nostalgia, foto in bianco e nero mostrate come cimeli: per tutti costoro sono stati mantenuti monconi dell’antico impianto che si integrano nella nuova struttura con linee e vezzi liberty. Ruderi, che saranno ulteriormente restaurati e resi fruibili, recanti ancora le scritte di quei tempi: “ Tribuna popolare: ingresso militari e balilla”.

In un tripudio di bandiere granata, il popolo di Toro ha sciamato per tutto il giorno dentro il piccolo complesso sportivo, punto di caduta di progetti che nel tempo hanno variato in forma schizofrenica tra la costruzione di palazzi e appartamenti dove adesso c’è il campo da calcio, e la costruzione di un nuovo smodato impianto da trentamila posti.

Perfetta sineddoche di una società “folle” che nella sua lunga storia ha saputo crogiolarsi tanto tra le stelle quanto tra le stalle, passando da record sportivi, ancora imbattuti, a tragiche retrocessioni, presidenti banditi, fallimenti, campioni e bidoni.

Ma i tempi paiono essere favorevoli ai colori granata. La classifica non è eccelsa ma soprattutto non è drammatica, e il presidente Urbano Cairo – croce e delizia delle migliaia che ieri visitavano il Fila – è un uomo di potere che ha saputo entrare nei salotti dell’Italia che conta, scalando Rcs con pochi soldi e il ben più pesante benestare della famiglia per eccellenza torinese. Su di lui i tifosi del Toro che godevano del nuovo Filadelfia si spaccano: alcuni lo definiscono “braccino”, data la notoria parsimonia in campagna acquisti, altri sottolineano la dignitosa stabilità economica, base per un futuro rilancio.

torino stadio filadelfia foto lapresse

Effettivamente, vedere rinascere il Filadelfia, è un evento epocale per la città: anche in questo caso Cairo ha partecipato alla spesa con una quota marginale, circa un milione sugli otto spesi in totale dalle istituzioni locali, Comune e Regione in primis.

Così almeno ventimila tifosi hanno preso d’assalto il Filadelfia: tra loro vecchi e giovani, molti con la maglietta n 12 recante la scritta “la Maratona”, storica curva granata dello stadio Comunale, catino dove oggi gioca la prima squadra. Già, perché il nuovo Fila sarà riservato agli allenamenti: si chiuderà quindi la paradossale parentesi del Torino calcio che fa la preparazione in un complesso della Fiat, la Sisport di Orbassano. Moltissime signore anziane vestite a festa, tanto dialetto piemontese –un vero retaggio novecentesco che sopravvive – e miriadi di bambini portati in spalla da papà infinitamente più entusiasti dei cuccioli granata bardati da capo a piedi.

Musica da discoteca tutto il dì con pittoresche note wagneriane nel pomeriggio, cori da stadio e torrenti di birra per tener testa al feroce sol leone che ha battuto tutto il giorno sulle teste dei tifosi. Il famoso “tremendismo granata” non poteva mancare.

Emiliano Mondonico, storico allenatore del Torino, ha detto che il nuovo impianto vale almeno dieci punti in classifica. A questo punto, dato il mezzo miracolo che ha riportato in vita un mito caduto nella polvere come il Filadelfia non rimane che completare l’opera: vincere.