La morte di Douglas Engelbart non ha suscitato nessuna onda emotiva nella Rete. Eppure il Web, assieme l’intero settore della computer science, devono molto a questo ricercatore e aspirante imprenditore che ha sviluppato molte delle tecniche che i computer continuano ad usare, a cominciare dal mouse, dalla gestione del video, alle interfaccia tra macchina e utilizzatore umano. Tecniche messe a punto negli anni Sessanta, lasciate in un cassetto per poi essere prese e messe in «produzione» dieci anni dopo.
Il percorso di ricerca e universitario di Engelbart è lo stesso di migliaia di ingegneri, fisici e matematici che dopo la seconda guerra mondiale si avvicinarono al nascente campo di ricerca dei computer. Laureato all’università di Berkeley a metà degli anni Cinquanta del Novecento, cominciò un suo progetto di ricerca allo Stanford Research Institute nel 1957. Ed è in quel centro dell’«eccellenza» statunitense che scrive, a quattro mani, con Hewitt Crane, una sorta di report su quali dovessero essere gli obiettivi del centro di ricerca. Il testo, pubblicato con il titolo Augumenting Human Intellect: A Conceptual Framework, è poi diventato una agenda dei lavori per gran parte degli anni Sessanta. Per tutto il decennio, il laboratorio di ricerca di Stanford mette a punto il mouse, sviluppa una gestione del video che consente di poter rendere operativi alcuni programmi informatici senza ricorrere a una successione di comandi e definisce quella che sarà chiamata la gestione a icone sempre del video. Ogni risultato sarà brevettato, anche se l’ufficio brevetti statunitense accoglierà la richiesta anni dopo.
In alcune interviste Engelbart riconosce che gran parte del suo lavoro era ispirato a un piccolo pamphlet scritto da Vannevar Bush scritto come promemoria per la presidenza degli Stati Uniti alla fine degli anni Quanranta. In quel testo, Bush invita il Congresso americano ad avviare un programma nazionale per lo sviluppo della computer science, settore strategico per gli Stati Uniti in quanto potenza economia e militare, ma anche indispensabile per migliorare la vita di uomini e donne. Engelbart ha affermato che è stato questo secondo aspetto che ha «guidato» il suo lavoro di ricercatore. Sta di fatto che gran parte dei risultati conseguiti a Stanford rimarranno per anni lettera morta.
Nel gruppo di lavoro emergono anche conflitti attorno a quale modello di informatica doveva essere messo a punto. Engelbart, legato a una concezione «centralizzata» del computer, è poco interessato a quanto i più giovani componenti del team sostenevano: lavorare cioè a costruire piccoli computer, facili da usare. Sta di fatto che l’ultimo lavoro su cui si concentrano riguarda proprio la gestione di una rete di computer. La diaspora dei ricercatori tuttavia non si ferma e alla fine Engelbart rimane «solo».
Prova a dare vita a imprese, che rimangono tuttavia sempre allo stato embrionale. Anni dopo, molti dei ricercatori del suo team migliorano il mouse, l’interfaccia grafico per gestire il video. Lavorano alla Xerox Parc, quello stesso centro di ricerca visitato da Steve Jobs e che ispira il fondatore della Apple nello sviluppo dei computer che hanno costituito un punto di svolta nell’informatica. Engelbart è un nome poco noto, alcuni storici della tecnologia sostengono che è rimasto un perfetto sconosciuto per molti anni, fino a quando la stessa Apple lo riconosce come il ricercatore che ha sviluppato il prototipo del mouse, «donandogli» 40mila dollari.
È negli anni Novanta che arrivano i riconoscimenti del suo valore di ricercatore. Ha molti attestati istituzionali. Il più significativo viene dal presidente Bill Clinton, che lo riceve alla Casa Bianca come uno dei «padri fondatori» della computer science. Poi di nuovo, il silenzio, fino all’annuncio della sua morte.