Tutto comincia nel 1995 quando il giovane belga Bart Weetjens si mette a studiare come impiegare i roditori per trovare le mine antiuomo. Mancano ancora quattro anni alla nascita della Mine Ban Convention di Ottawa che verrà firmata da 133 Paesi tra cui l’Italia. Ma il problema c’è e – bando o non bando – Bart vorrebbe dare il suo contributo. Oltre che un ricercatore è un animalista da quando, all’età di nove anni, gli hanno regalato un criceto. Paradossalmente Bart in gioventù è stato attratto dall’arte della guerra e diventa cadetto all’Accademia in cui resta però solo un anno. La sua biografia non dice cosa è scattato nella sua testa ma da quel momento la sua vita prende un’altra strada. Si laurea in ingegneria ma continua la sua attività preferita: allevare ratti. Poi arriva la svolta rivoluzionaria. All’inizio i donatori sono scettici. Topi contro le mine? Idea balzana. Ma i suoi ex docenti dell’università di Anversa gli danno una mano. Un’altra gliela dà la Sokoine University of Agriculture di Morogoro, in Tanzania. Di lì a poco nasce Apopo, l’organizzazione che è attualmente attiva nello sminamento in diversi Paesi. E con lei i criceti africani diventan degli HeroRATS. Dei roditori eroici. Che però non sacrificano la loro vita per l’uomo. Semplicemente, troppo leggeri per saltare sulla mina, si limitano a scovarla in cambio di cibo.
A Siem Reap, nella sede cambogiana di Apopo, vediamo gli HeroRATS in azione. La Cambogia è un Paese dove, tra il 1979 e il 2017, ordigni inesplosi hanno ucciso – dice il Landmine Report – quasi ventimila persone (l’ultima a fine gennaio) e ne hanno ferite 44.962. Il ratto viene legato a un guinzaglio corto che scorre lungo una corda fermata alle due estremità alle caviglie dei suoi datori di lavoro. Delimitata una certa area, preventivamente disboscata dal braccio di una trituratrice vegetale per liberare il campo d’azione, il topo comincia a correre a destra e sinistra, avanti e indietro lungo la corda, annusando finché non sente l’odore dell’esplosivo. A quel punto si ferma e comincia freneticamente a scavare. I suoi addestratori allora lo fermano e, mentre con un segnaposto segnalano l’ordigno, danno al topo da mangiare. E avanti cosi per tre quattro ore al giorno.

Michael Heiman, capo progetto in Cambogia di Apopo, è un ragazzo giovane ma con una solida esperienza come sminatore. È compiaciuto del nostro stupore ma la prima cosa che fa è smorzare l’entusiasmo: «Purtroppo, anche se gli HeroRATS fanno un enorme lavoro, non sono adatti a tutte le situazioni. Non c’è una soluzione unica per le mine e i topi hanno limiti che conosciamo bene: lavorano solo all’alba perché sono animali notturni. E lavorano bene solo su terreni pianeggianti dove l’impatto del vento è minore e dunque è minore la possibilità che il loro olfatto sia distratto. Ma sono un’enorme risorsa se paragonati a un metal detector». La natura sorpassa la tecnologia. «Il metal detector individua i metalli… tutti i metalli – spiega Michael – il ratto invece individua solo ciò che contiene esplosivo. Ci mette dunque la metà del tempo». Senza contare che le mine possono anche essere di materiale plastico o persino contenute nel ferro o nel legno… In molti casi si sono usate le capre: saltavano in aria salvando vite umane ma sacrificando la propria. I cani si usano ancora: è raro che si facciano male perché allungano il muso verso la fonte dell’odore senza calpestarla. Ma un cane potrebbe scappare spaventato da qualcosa e magari finire su un ordigno. Il topo no.

Il piccolo animaletto è un lavoratore serio: «Ma attenzione: è ammaestrato, non addomesticato. Ecco una differenza importante col cane che si affeziona al suo sminatore. Il topo no. Va con chi gli dà da mangiare. E costa assai meno: circa 8 dollari al mese in vegetali. Ma, ripeto, non tutte le condizioni si prestano al suo impiego».

Apopo in Cambogia lavora con il Cambodian Mine Action Centre (Cmac), l’organismo nazionale più importante del Paese. Apopo non è ovviamente l’unica organizzazione presente in Cambogia, ma è l’unica a usare i ratti. Vive soprattutto di sovvenzioni private e solo in parte di denaro pubblico. Una gara dunque per sopravvivere. Con molta concorrenza: «La Cambogia, come il Laos o il Vietnam, restano Paesi ad altro rischio. Purtroppo però la guerra si sposta creando nuove emergenze. E il denaro tende ad andare comprensibilmente verso queste nuove necessità».

Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine, conferma che, nel nostro Paese, la spesa pubblica per lo sminamento è tornata a livelli costanti (sopra i 3 milioni annui) ma che non bisogna dimenticare le vittime: «In generale i fondi per la bonifica sono cresciuti – al crescere comunque di conflitti e guerre asimmetriche – ma sono anche cresciute le vittime. Esiste ancora un problema di sostegno ai disabili, sia nel contesto post emergenziale (protesi e fisioterapia) sia per il reinserimento socio economico dei sopravvissuti». Gente che non dovrebbe aspettare. Già lo fanno le mine, dormienti anche per decenni prima di sferrare l’attacco mortale per cui son state progettate.