Benedetto Vecchi è stato tra i fondatori, all’inizio degli anni ’90, della rivista «DeriveApprodi». Nel ’98 ha partecipato alla progettazione dell’omonima casa editrice della quale si è poi occupato incessantemente fino alle sue ultime ore. Lo testimonia lo stralcio del suo ultimo scritto riportato qui accanto. Si tratta di un saggio alquanto meditato sul tema delle rivolte (senza rivoluzioni) in corso nelle varie latitudini del pianeta da inserire nel secondo numero in preparazione della rivista-libro «Kritik. Prontuario di sopravvivenza all’agonia del capitale».

Benedetto guardava questo progetto editoriale con perplessità, temendo si rivelasse un cedimento alle posizioni «rivoltiste» fini a se stesse piuttosto di moda negli ultimi tempi. Timore che aveva già esplicitamente rivelato in occasione della sua recensione sul giornale al primo numero di «Kritik». Nonostante ciò, come era nel suo carattere, e nel suo stile di lavoro culturale, non voleva sottrarsi a quella discussione così spinosa.
E a dimostrarlo c’è il nostro ultimo scambio di battute, il 4 gennaio.

Dopo avergli detto che il testo consegnato secondo me andava bene, mi ha scritto: «Lapidario il tuo giudizio sul testo per Kritik2, procedo con la stesura definitiva. Volevo sapere se il tono del pezzo è troppo autoriale, poco collettivo dunque. Se c’è una deriva un po’ accademica. Insomma ’ste cose qua… vedrò nella stesura definitiva di dissolvere questi dubbi. Mi aiuterà molto il film di Ken Loach, visto in streaming. Te lo consiglio. È un non film, quasi un documentario, un video casalingo, amaro, disperato, quasi apocalittico».

Gli ho risposto: «Ho finito ora di redazionare quel poco che c’era da redazionare. Mi sono limitato a togliere poche cose di carattere ’giornalistico’ in modo che si valorizzi l’impianto saggistico. La cosa mi pare ben riuscita perché la critica al ribellismo rivoltista, al catastrofismo apocalittico e al ’populismo di sinistra’ è ben articolata e ricca di argomentazioni e spunti di riflessione. Così come sono giustamente rilevati i limiti e i pregi dei movimenti in corso. La chiusa è familiarmente ’classica’, ma va bene. Sentiamoci». Ha terminato dicendomi: «Ti chiamo, se vuoi, anche domani pomeriggio».

Nel pomeriggio non ha chiamato. Ma ha chiamato la sera, intorno alle 21. Un orario insolito. Voleva sapere cosa avevo fatto nella giornata. Anche i dettagli. Lo sentivo affaticato, ma tranquillo e pacato, come al solito. Ci siamo accordati per risentirci presto. Quando ho riattaccato, dentro di me, in fondo, il presentimento l’ho avuto, che mi stava salutando.
La mattina dopo, presto, la telefonata di Laura…