«Noi non siamo come quei politici del passato che dicevano di aver vinto anche quando avevano perso». Ricordate questa frase di Matteo Renzi, ripetuta anche lunedì, prima di proseguire oltre. Perché dobbiamo raccontare come il Pd, che alle comunali di domenica a Milano ha perso tre voti su dieci, a Roma cinque su dieci e a Napoli sei su dieci rispetto alle politiche del 2013, ieri ha scoperto che in realtà non è andata poi così male. Che il vero sconfitto è il Movimento 5 Stelle. Merito di un’analisi dell’Istituto Cattaneo, serissima fondazione bolognese che tradizionalmente dopo ogni elezioni mette a confronto i numeri e racconta quello che si nasconde dietro le percentuali. Ieri il Cattaneo ha diffuso un comunicato con il risultato di un confronto tra le coalizioni. Meglio, lo ha diffuso di nuovo dopo che era caduto un po’ nel vuoto lunedì; ma questa volta con un titolo evidente.

«Successo del M5S rispetto alle comunali del 2011. Rispetto alle politiche del 2013 Il M5S cede voti, mentre ne guadagnano il centro-destra e risulta statico il centro-sinistra». Balsamo sulle ferite del Pd.

Per una mezza giornata, i dirigenti renziani hanno sventolato sulle agenzie la «verità» testimoniata dal Cattaneo. Accusando Grillo di «prendere in giro gli italiani». Sì, perché il capo del M5S aveva lanciato la sua sintesi sul blog, inventandosi un riassunto nazionale delle elezioni amministrative nella somma di tutti i voti dei mille e passa comuni alle urne: «Con 956.552 voti il M5S si afferma come la prima forza politica nazionale, al secondo posto, in via d’estinzione, il Pd con 953.674». «Spara numeri al lotto», si arrabbia subito il vice di Renzi Guerini. «Grillo ha vinto? Ma fatemi il piacere», aggiunge il colonnello renziano Carbone, che forse sarà il commissario del partito a Napoli e per questo si sta allenando a citare Totò.

Presi un po’ in contropiede dal clamore, i ricercatori del Cattaneo spiegano il senso della loro analisi, premettendo che l’unico confronto corretto dovrebbe essere quello tra elezioni omogenee, e cioè tra le elezioni di domenica scorsa e quelle del 2011. In questo caso non possono esserci dubbi sul vincitore: le liste grilline sono passate da una media nazionale del 6,1% al 21,4%. Contemporaneamente centrodestra e centrosinistra hanno perso entrambi circa sette punti percentuali. Ma è chiaro, aggiunge il Cattaneo, che il confronto «più prossimo e pregnante» è quello con le elezioni politiche del 2013 dove il fenomeno M5S è veramente esploso: nel 2011 in molte città i grillini erano alla preistoria. È un ragionamento che aveva fatto anche il manifesto ieri, quando mettendo a confronto i voti assoluti e non le percentuali aveva concluso che nei sette comuni capoluogo di regione il Pd e le sue liste civiche direttamente collegate hanno perso ovunque, il massimo a Napoli (56 elettori ogni 100 che lo avevano votato nel 2013 lo hanno abbandonato), il minimo a Milano (dov’è stato abbandonato da 11 elettori su 100 del 2013).

Trovandosi però di fronte alla difficoltà di dover confrontare un voto amministrativo – dov’è frequente la presenza di liste civiche collegate al partito principale – con un voto per il parlamento, i ricercatori del Cattaneo hanno preferito aggregare i dati per tre aree politiche. Da una parte il centrosinistra, da un’altra il centrodestra e in mezzo il Movimento 5 Stelle, da solo. Dunque la ricerca che ha sollevato gli animi dei renziani mette a confronto i risultati della vecchia coalizione di Bersani, quella con Vendola e i socialisti, politicamente il trapassato remoto, con le coalizioni di centrosinistra di queste ultime comunali, composte da quattro liste a Milano e Torino, da sette a Roma, da undici a Napoli e in qualche altra città anche più numerose. Infine l’analisi è limitata ai capoluoghi di provincia e nemmeno a tutti, solo 18 su 25 perché in qualche caso i dati non erano ancora disponibili (l’abbiamo già detto, la ricerca non è di ieri ma risale a lunedì).

Fatte tutte queste precisazioni, si può leggere lo studio che ha fatto felici i democratici Rosato, Guerini, Esposito, Carbone e Orfini, tra gli altri. Per scoprire che il centrodestra tra il 2013 e il 2016 ha guadagnato quattro punti percentuali (dal 25,4% al 29,5% dei voti validi nei 18 comuni considerati), il centrosinistra poco più di un punto (dal 33,1% al 34,3%) e il M5S ne ha persi poco meno di quattro (dal 25% al 21,4%). Volendo invece concentrarsi sul Pd più che sui suoi alleati, un calcolo che abbiamo fatto noi sui voti assoluti restituisce una realtà meno piacevole per il Pd. Che nei 18 comuni considerati dal Cattaneo perde tra il 2013 e il 2016 oltre 560mila elettori, e nei 25 comuni capoluogo (aggiungendo cioè quelli non considerati dall’istituto bolognese) arriva a perderne oltre 580mila.

Avessero voluto restare con i piedi in terra, peraltro, i colonnelli renziani prima di esultare avrebbero potuto leggere anche un’altra ricerca del Cattaneo, disponibile da ieri mattina. Nella quale si studiano i flussi in uscita degli elettori del Pd del 2013. Di questi solo una percentuale di poco superiore al sessanta (Napoli esclusa, dov’è andata molto peggio) è tornata a votare per i candidati a sindaco del partito di Renzi. Gli altri sono andati via, soprattutto verso l’astensione. Oppure verso il Movimento 5 Stelle, particolarmente a Torino. Dove 22 elettori su 100 piuttosto che tornare da Fassino hanno scelto la candidata grillina. E la chiamano vittoria.