La sala stracolma di pubblico per l’esibizione del batterista nigeriano Tony Allen è il suggello migliore per descrivere la ventottesima edizione di Udin & Jazz. Anche quest’anno un programma ricco e stilisticamente variegato con bei nomi del jazz internazionale e italiano come Dave Holland, Norma Winstone, Youn Sun Nah, Barbara Errico, Dario Carnovale, Glauco Venier, Daniele D’Agaro, Giovanni Maier e la Udin&Jazz Big Band che riunisce i migliori nuovi talenti della vivace scena del Friuli Venezia Giulia.

Confortante la presenza giovanile accorsa per ascoltare il quartetto Forq, giunto nel capoluogo friulano preceduto dall’aura di essere una filiazione di quel fenomeno mondiale che sono gli Snarky Puppy. La loro musica è basata su memorie morriconiane, surf e blues-funk ma non va oltre una piacevole divertissement. Più strutturato e pensato il nuovo progetto del contrabbassista israeliano Avishai Cohen. Alla testa di un quintetto ha presentato il disco 1970, lavoro nel quale si butta a capofitto e con convinzione nel rielaborare le musiche di quel decennio. Tastiere vintage, vocoder, memorie wonderiane, ballate ottimiste. Cohen imbraccia spesso il basso elettrico e soprattutto canta e lo fa benissimo. I momenti migliori sono quando propone pezzi ethno-pop basati sulle musiche tradizionali sefardite e mediorientali. Musiche che abbiamo imparato ad amare con la cantante Ofra Haza, la cui prematura scomparsa brucia ancora. Con il bis tutti in piedi a ballare sul ritmo di montuno di Vamonos Pa’l Monte di Eddie Palmieri.

Che il rapporto tra jazz e pop sia croce e delizia dei nostri giorni lo riafferma anche il concerto dei Quintorigo. Per la band romagnola nuovo doppio cd e formazione rinnovata. Accanto ai membri storici Andrea Costa,violino, Gionata Costa, violoncello, Stefano Ricci, contrabbasso e Valentino Bianchi, sax, si aggiungono la batteria di Gianluca Nanni e il nuovo cantante Alessio Velliscig. Ampio come sempre l’arco dei riferimenti dal jazz che guarda alle forme classiche del Dave Brubeck di Blue Rondò a là Turk alla ferocia metallara dei Rage Against The Machine di Killing In The Name. Equamente distribuito tra originali e cover, come pure il disco Opposites che presentano in anteprima, il concerto conferma l’ottica onnivora del gruppo e il gusto per l’enfasi ritmica e melodica. Decisamente sorprendente la voce di Velliscig che sfodera un bel timbro, forza espressiva e capacità interpretative di spessore per le quali basti citare una versione di Alabama Song da applausi recuperando dell’originale di Kurt Weill le atmosfere sghembe e sardoniche da cabaret e aggiungendo un inedito afflato popolaresco.

Tony Allen ha presentato con il suo progetto The Source la celebrazione dell’afro-jazz. Ritmi ipnotici e iterazioni ossessive. Derive latineggianti, funky polverosi e sussulti percussivi. Dietro ai tamburi, protetto dagli occhiali da sole, il settantottenne batterista del mitico Fela Kuti, sorride compiaciuto mentre fa viaggiare il suo sestetto sul suo inimitabile rollìo. Pezzi lunghi ma che potrebbero benissimo essere lunghissimi perché questa è musica che impone una diversa concezione del tempo. Rispetto al disco, che vale la pena ricordare è edito dalla Blue Note, la formazione è più asciutta ma sempre basata sui musicisti di stanza a Parigi come il leader da ormai trent’anni. Tra loro spiccano il bassista Mathias Allamane e il tastierista Jean-Phillippe Dary, dotato di bel tocco percussivo. Allen ha confezionato un atto d’amore per il jazz come musica collettiva, rituale, positiva. Di questi tempi non è poco.