Sparsi nelle diverse sezioni delle Giornate del cinema muto spiccavano i nomi di grandi maestri come Murnau, Dreyer Sjostrom, Ozu e Lubitsch, esposti quindi alla prova di resistenza ai tempi che mutano; ma non è sorprendente che abbiano retto benissimo. Quello che sorprende è piuttosto vederli alle prese con ambientazioni e personaggi che non sono tipici del loro mondo.

In particolare Sjostrom e Dreyer sembrano essersi scambiati il posto, le locations, con Sjostrom alle prese con un kammerspiel cupo che ruota intorno a un interrogativo morale e religioso e Dreyer con la natura all’apparenza solare in effetti matrigna delle campagne norvegesi.

SJÖSTRÖM

La prova del fuoco (1922) di Victor Sjöström ha al centro uno straordinario personaggio femminile, Ursula, una fanciulla scultorea nella sua bellezza e nella sua rigidità, innamorata di un coetaneo e costretta invece a sposare un vecchio scultore, claustrofobicamente imprigionata in severi ambienti rinascimentali nordici. La donna viene in possesso di una dose di veleno ma la sera in cui si accinge a versarlo nella coppa del marito questi la vede in uno specchio e ha un infarto fatale. In città si pensa però che sia stata lei ad ucciderlo per cui viene sottoposta al giudizio di Dio, ovvero a camminare sui carboni ardenti. Invece che enfatizzare la barbarie di simile pratica, il film mette in discussione la questione stessa della responsabilità e della colpa, e in pieno spirito protestante, discute se l’intenzione di uccidere equivalesse in un certo senso alla colpa dell’atto stesso, nel qual caso Dio avrebbe potuto punirla. Mette anche in gioco la fiducia tra i due giovani amanti, al punto che per dimostrare il suo amore il ragazzo, convintosi dell’ «innocenza» di Ursula, vorrebbe sottoporsi lui alla prova. La severità cristallina dei filmmakers Dogma precorre quindi i tempi, con una recitazione equilibrata e un’esplorazione psicologica e morale dei personaggi assolutamente moderne.

DREYER

La fidanzata di Glomdal è il film che Carl Th. Dreyer (1926) gira nei paese nordici prima del trasferimento in Francia, dove realizza il suo capolavoro, la Giovanna d’Arco. Profondamente diverso dalla durezza ascetica di quel film, questo si propone invece come un film norvegese immerso nella natura, nelle sue campagne soleggiate ma non solari, che affronta (di nuovo) il problema sociale- purtroppo sempre attuale- dei matrimoni combinati. Una bella e decisa ragazza, figlia di un proprietario terriero, è innamorata del suo amico di infanzia quindi si ribella con forza al padre e fugge di casa pur di non sposare l’uomo che la famiglia le impone. Un parroco sensibile e il buon senso dell’umile famiglia del bracciante le permettono di sposare l’innamorato, ma al momento delle nozze il rivale slega la barca con cui il ragazzo dovrebbe raggiungere l’altra riva e lo costringe a un pericoloso attraversamento che lo trascina verso le cascate, in una lunga sequenza mozzafiato, che rivaleggia con la griffithiana Agonia sui ghiacci.

MURNAU

Der Gang in Die Nacht è il film più «vecchio» (1920) di Murnau tra quelli esistenti. Sceneggiato dal fedele Carl Mayer, anche questo film mescola un paesaggio Sturm und Drang fatto di onde possenti e coste rocciose battute dal vento con gli ambienti borghesi, abitati dai suoi personaggi. Un pittore diventato cieco, interpretato da uno spettrale Conrad Veidt, si innamora della moglie del chirurgo che lo ha operato, con un esito ovviamente tragico, che il ritmo in crescendo del montaggio rende inevitabile. Un capolavoro che prefigura quello scarto tra realismo ed espressionismo che caratterizza il mondo di Murnau.

OZU

Una locanda di Tokyo è un muto che Ozu ha sonorizzato in parte (musiche e qualche suono) malvolentieri e tardivamente (1935). Il maestro giapponese costruisce con delicatezza i personaggi e le loro psicologie, sconvolte dalla miseria che la Depressione aveva prodotto anche in Giappone. Due donne generose e allo stesso tempo fragili, con un incantevole pudore per i loro sentimenti, interagiscono con un padre disoccupato e bevitore che cerca invano di rifarsi una vita coi suoi bambini, discoli quanto maturi. La cupezza amara della situazione sociale, che conduce l’uomo in prigione, nel finale, ricorda il volto di Paul Muni, alla fine di Io sono un evaso, in cui confessa di sopravvivere rubando.

LUBITSCH

Ernst Lubitsch era presente a Pordenone con due pellicole, il melodramma (letteralmente) Carmen, girato in Germania e interpretato da una magnetica Pola Negri, che regge l’impalcatura tra seduzione, gioco amoroso e tragedia fino alla fine. Gran finale del festival il musical muto, Il principe studente, proposto con le musiche composte da Carl Davis e suonate dalla locale orchestra San Marco. Questo spettacolare film MGM è interpretato da Ramon Novarro nel ruolo del principe di Karlsberg che riesce ad evadere dalle rigide etichette di corte in una vacanza/studio all’università di Heidelberg. Qui incontra una bella ostessa (Norma Shearer) e tanti giovani amici, ma al momento in cui diventa re tutti devono accettare la separazione che il suo ruolo impone. Il film esprime con sentimentalismo non sdolcinato la durezza di questo distacco, pur mantenendo il ritmo dell’operetta viennese, in sequenze in cui lo sventolio di masse di cappelli, cilindri borghesi o berretti da studente che siano, alternati all’aprirsi e chiudersi delle gigantesche porte del palazzo reale, in tipico tocco lubitschiano, raccontano il senso di imprigionamento e il desiderio di fuga.