A 15 anni, il più giovane giocatore della serie A di basket con il Petrarca. Laureato in fisica e filosofia, Giovanni Boniolo è approdato al Dipartimento di Scienza della salute e all’Istituto europeo di Oncologia a Milano. Lo sport gli è rimasto nel sangue. Attraverso lunghe lettere ai tre figli, agli amici e all’ex compagno di stanza ha saggiato corpo e anima, scienza e diletto, tecnica e libertà.

Le Regole e il Sudore (Raffaello Cortina, pp. 206, euro 15) dipana aneddoti spiccioli e bibliografia colta, corre nel cuore dello sport con il cervello, salta dall’esperienza del campo fino alle ragioni essenziali nella vita. Con Boniolo si capisce che le regole non sono precetti (del resto, la legge non combacia con la giustizia). E si afferra il sudore dell’allenamento come scoperta dei propri limiti (che vale anche fuori dalla pratica sportiva).

È un libro che impone elasticità mentale nel vagare a ridosso di mondi diversi, fino a trovare il giusto sentiero al di là degli stereotipi. Boniolo dialoga con il destinatario della sua narrazione e insieme offre al lettore suggestioni, spunti e pretesti di riflessione filosofica. Nelle pagine ci sono Wittgenstein e il «replay» dell’agonismo, i classici e le ore di allenamento, gli scienziati e l’esperienza delle partite, David Foster Wallace e l’incubo del doping.

Spicca in particolare il confronto a distanza con l’amico di sempre Alberto Facco, cestista in gioventù e ora nei laboratori Infn di Legnaro. È la parabola del tempo che rimbalza dai ricordi del parquet alle «cose ultime» nel canestro della vita. Di nuovo la passione sportiva, il richiamo della filosofia, la sfida della scienza.

Boniolo rafforza l’idea del gioco come metafora dei conflitti. Perfino sul piano generazionale, quando da padre ammette con un figlio che la regola comporta un’eccezione (e Antigone, rimasta fuori pagina, ne incarna l’essenza). E se poi scandaglia l’altra faccia della vittoria, affiorano sudore e zen: solo l’infinita ripetizione dei gesti tecnici genera l’estasi della naturalezza perfetta.

Insomma, un saggio da vero playmaker. E per gli appassionati anche un ottimo pretesto per riscoprire Padova calamita dei miti del basket: coach Aza Nikolic, Douglas Moe, Radivoj Korac e intere leve cestistiche all’ombra dei Tre Pini. Un’epoca letteralmente rasa al suolo dal furore immobiliarista che ha contagiato ogni Palazzo, votato ormai alla sussidiarietà nazionale.