Nelle pause delle riprese di un film spuntava sempre un pallone, dietro cui correvano gli addetti alle luci, gli attori, le comparse e più di tutti Pier Paolo Pasolini. A Mantova nella primavera del 1975 Pasolini era impegnato nelle riprese di Salò, a Parma Bertolucci con quelle di Novecento. La sfida tra i due che capitanavano le rappresentative calcistiche non si fece attendere, alla Cittadella il match vide i pasoliniani con le magliette rossoblù del Bologna, squadra per la quale tifava, e con le divise del Parma la squadra di Bertolucci, la partita finì 5 a 2 a favore di Bertolucci. Pasolini manifestava apertamente la gioia di partecipare e condividere il momento sportivo, lo viveva in maniera molto forte, aveva una vera passione, e si arrabbiò in quell’occasione per il poco impegno della sua troupe. D’altronde a Enzo Biagi che nel 1973 gli chiedeva che cosa gli sarebbe piaciuto diventare nella vita, se non si fosse occupato di cinema e di scrittura, Pasolini rispose: ”Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri”. Era un vero appassionato di sport e non si fece sfuggire l’occasione delle olimpiadi di Roma del 1960 per accreditarsi come inviato di Vie Nuove, il settimanale vicino al Pci diretto da Maria Antonietta Macciocchi. Scriveva il giorno dell’inaugurazione: “Il ministro Andreotti fa il suo discorso di benvenuto e credo sia difficile immaginare un discorso più retorico e provinciale del suo… che ha dato il la a tutta la parte retorica e insopportabile della manifestazione: il canto dell’inno olimpico, le tre salve di artiglieria che hanno fatto gridare di spavento le signore, il volo dei piccioni che ha riempito il cielo come un formicaio e il suono di tutte le campane di Roma. Tutto ciarpame decadente ed estetizzante, merce del peggior neoclassicismo e del peggiore romanticismo… meno male che gli atleti, in mezzo al campo avevano rotto le file e armati delle più borghesi macchinette fotografiche si erano sparpagliati a fotografare il tedoforo”. Sulle pagine del settimanale di sinistra, Pier Paolo Pasolini scriveva quello che coglieva all’interno dell’Olimpico di Roma, spesso in compagnia di Elsa Morante e Alberto Moravia. Innanzi a quei corpi muscolosi, scolpiti dagli allenamenti, che godevano anche delle prime abbondanze alimentari dopo la guerra mondiale, grazie al boom economico, Pasolini considerava l’atleta un essere superiore da un punto di vista artistico. Non gli piaceva l’atletica leggera, che riteneva elitaria e noiosa, piuttosto, diceva provocatoriamente, preferiva le gare di tiro alla fune sulla spiaggia di Ostia, quelle che si disputavano tra italiani e ungheresi. Alla gara dei cento metri Pasolini preferiva la maratona, per sforzo e fatica una gara capace di “scendere” nella tragedia greca, e tra tutti gli sport preferiva la boxe (polemizzò violentemente con Giovanni Arpino, l’autore di Azzurro Tenebra, su Nino Benvenuti, le cui foto comparivano sulle pareti delle sezioni Msi), e il calcio, anche se a quello della nazionale aveva augurato mille Coree, dopo l’eliminazione degli azzurri da parte della squadra sudasiatica ai mondiali del 1966 in Inghilterra.

Agli intellettuali di sinistra che nel 1970 gli chiedevano stupiti il motivo della febbre calcistica, Pier Paolo Pasolini rispondeva con provocazione: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. E’ rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”. E poco più di un mese fa, il 12 settembre, nello stadio del rugby Fassini di Rieti, a cura del regista Giorgio Barberio Crosetto è andato in scena lo spettacolo teatrale “Pier Paolo!” una partita giocata da due squadre di calciatori dilettanti, la Polisportiva Cantalice e l’Alba Sant’Elia di Rieti, dove i calciatori in campo e gli spettatori seduti in tribuna sono diventati attori di un’insolita performance teatrale.

Il poeta di Casarsa tifava per la squadra del Bologna, città dove è nato e dove è tornato a studiare dopo gli anni vissuti in Friuli da ragazzino. Nel tifo per la squadra felsinea trovò un alleato insolito, Paolo Volponi, i due si coalizzarono contro il poeta Vittorio Sereni, noto tifoso interista, alla vigilia di un match decisivo per il primato in classifica: “Caro Sereni, intanto ti avverto che domenica il mio cuore è a Milano, insieme a quello grassoccio di Volponi: tutti e due a palpitare sull’orlo di una trombosi. E mi dispiace che la gioia nostra sarà la tua disfatta” scriveva Pasolini nel novembre del 1954 al poeta di Luino, che già all’indomani dell’incontro di calcio tra Inter e Bologna rispondeva sconsolato: “Come Teodorico morente vedeva Severino Boezio, ieri ho visto al 90° sul cielo di San Siro effondersi il tuo ghigno e il serafico sorriso di quel volpone di Volponi”. A Roma Pasolini andava spesso allo stadio con quei ragazzi con i quali abbozzava improvvisate partite nei campi di periferia, che di lì a poco cedettero alla speculazione dei palazzinari,anche in occasione del derby:” Prendete er Mozzone, che avendo visto annunciato questo mio articolo sull’Unità mi ha telefonato a casa: “ A Pà, nun t’azzardà a dir male de la Roma… Scrivi nell’articolo che er morto ancora puzzava, come semo usciti dallo stadio. E puzzerà tutta la settimana!”.