Era il 26 aprile 1986 quando si consumò la catastrofe di Chernobyl che provocò la contaminazione di una vastissima aerea nell’attuale Ucraina, e l’evacuazione di più di 330.000 persone. Sorte che è toccata anche a Fedor Alexandrovich che all’epoca aveva quattro anni, ed è stato allontanato dalla famiglia per evitare le conseguenze delle radiazioni. Fedor, artista, poeta, pittore e uomo di teatro ucraino, è sopravvissuto ma porta ancora nelle ossa i segni delle radiazioni. La sua teoria sulle cause del disastro è al centro dell’avvincente documentario The Russian Woodpecker di Chad Gracia, premiato al Biografilm Festival che si è appena chiuso.

 

 

 

Un’inchiesta scomoda e pericolosa quella di Fedor, che sfidando le minacce della polizia segreta mette in relazione l’esplosione della centrale atomica con la Duga, l’enorme antenna a uso militare collocata a pochi metri di distanza dal reattore, e utilizzata durante la guerra fredda per prevenire possibili attacchi missilistici Usa. Il «picchio russo», come venne soprannominata per il suo ticchettio aveva mancato lo scopo, e l’uomo del ministero della difesa che lo aveva voluto rischiava il gulag per quel fallimento. Sarebbe stato lui a dare l’ordine di far saltare il reattore per coprire i suoi errori. Il film raccoglie testimonianze tra reticenze e paure del vecchio apparato militare di tecnici e ingegneri nucleari dell’epoca, mostrando anche come il sistema di controllo dell’ex Urss sia ancora molto forte.
Fedor viola la zona proibita di Chernobyl e la attraversa nella sua desolazione: cammina in un paesaggio spettrale come un alieno fino al «mostro» di metallo alto un centinaio di metri che scala come un esploratore del passato frugando nei segreti che il suo Paese tiene ancora nascosti. Un viaggio all’inferno, come lo definisce lui stesso, che apre anche una finestra sul presente in Ucraina.

 

 

Vediamo infatti anche le prime sollevazioni di piazza filmate «da dentro» con telecamere nascoste – in una di queste l’operatore è stato ferito. Fedor però non si sente un eroe, durante le riprese ha avuto paura, ha lasciato tutto per poi tornare sui suoi passi schierandosi contro la presenza russa: «Ho capito che avere paura è un tradimento. Ora sono a viso scoperto, sono un militante, tutti gli ucraini che si battono contro il sistema di corruzione sono militanti della verità. Il nostro è un sistema mafioso in cui tutti siamo in pericolo». «Nel film sono partito dal simbolo dell’ultimo periodo dell’Urss, la Duga. C’erano molte versioni su presunte relazioni fra l’antenna, la cortina di ferro e la catastrofe di Chernobyl. Volevo trovare la nostra versione, fare luce su tutte le menzogne raccontate e sui rapporti fra queste tre entità. All’inizio ero scettico, poi il mio sguardo si è allargato all’’Urss e alla sua Storia. La repressione, lo stalinismo, i danni spaventosi fatti dagli ultimi burocrati del regime. Mi ha spinto il desiderio di condividere una verità che stava cercando di manifestarsi».

 

 

Alexandrovich e il regista teatrale Chad Gracia, al suo primo lavoro cinematografico, si sono conosciuti durante l’allestimento di una pièce in Ucraina: «Mi hanno convinto la passione, l’energia e il carisma di Fedor – spiega Gracia – Quando mi ha esposto queste teorie sembravano folli, ma il suo temperamento rappresentava per me l’incontro con una persona che incarna la storia di un Paese. I suoi nonni, i genitori, e ora suo figlio, sono inevitabilmente segnati dalla storia dell’Ucraina. Nelle ricerche fatte inizialmente a Kiev nessuno aveva sentito parlare della Duga, cosa singolare visto che è la più grande e costosa arma che sia mai stata costruita. Nell’ex Urss si nascondono centinaia di segreti che ora stanno lentamente emergendo».

 

 

«Il film è caratterizzato da una doppia natura – aggiunge Fedor – L’inchiesta che fa appello ad una forma di razionalismo occidentale e tenta di fornire prove, e le performance che considero rituali, e che i creano un’iconografia vicina all’Inferno dantesco: l’attraversamento dello Stige nel tentativo di ritrovare nel lago lo specchio di una memoria perduta».

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«Da regista – prosegue Chad Gracia, è stato difficile trovare il tema comune del film. L’ho individuato nei fantasmi dell’Urss ancora vivi. Questo è il vero cuore del lavoro. Fantasmi molto presenti in tanta gente, come quello del Kgb è nello stesso Fedor e nella sua famiglia. È naturale, ci vuole tempo perché muoiano … Il documentario è un figlio che combatterà per ucciderli».

 

 

«Nella storia tutto è connesso, tutti i fatti lo sono. Apparentemente non c’è un legame diretto fra la Duga, Chernobyl e la guerra in corso, anche se in realtà la rivoluzione in Ucraina è contro quei burocrati, contro la generazione di chi ha voluto e costruito l’antenna e ha provocato la catastrofe della centrale nucleare – dice Fedor – Tutti i dati e le informazioni ancora secretati dovrebbero essere rivelati per disinnescare i meccanismi frutto di quel sistema di menzogne».

 

 

La preoccupazione di Fedor è che ora il potere è solo nelle mani di Putin: «Ai tempi del comunismo il politburo era formato da più persone, il famigerato bottone rosso non era nelle mani di una sola persona come adesso». Aggiunge Gracia: «L’America è colpevole, come il resto del mondo per avere permesso a Putin di accumulare tutto il potere nelle sue mani».

 

 

E se in tanti parlano di una nuova fase di guerra fredda tra Stati Uniti e Russia proprio per le forti tensioni in Ucraina è interessante scoprire che il picchio russo è tornato a picchiettare. C’è una nuova antenna in Mordovia che punta verso l’Europa. The Russian Woodpecker è stato proiettato vicino Chernobyl, ma finora mai in Russia. Presto si definirà una distribuzione europea.