Quattro anni fa Romeo Castellucci in occasione di Vedersi vedere, la lectio magistralis che tenne alla Triennale Milano Teatro, raccontò in un’intervista al manifesto: «Pensiamo al teatro: sul piano della realtà lo spettacolo non consiste in nulla, non ha oggetto. È il linguaggio espressivo più fragile, perché il palcoscenico si svuota di un non persistente. Possiamo immaginare il teatro come un combustibile che consuma la propria materia. Che cosa ne resta, dunque, se non l’esperienza di ciascun spettatore?».

OGGI, che con quella realtà collabora in maniera continuativa in veste di Grand invité, all’interno della quarta edizione del festival FOG ha proposto Il Terzo Reich, una creazione difficile da categorizzare. È una video-installazione? Forse. Una performance? Anche. Di certo c’è che questo lavoro traduce concretamente ciò che quel discorso esprimeva in chiave teorica. Di fronte a un palco completamente vuoto, man mano che il buio avanza, poco a poco l’occhio si abitua all’oscurità, si distende e percepisce che il nero possiede profondità: è come un’apertura e una volta entratoci le cose che accadono lì dentro divengono manifeste, come l’incedere coreografico di una tenebrosa figura spettrale (Gloria Dorliguzzo) che, spezzando una colonna vertebrale posta sulla scena, compie, come dichiarato dal regista, un «cerimoniale di ’accensione’ del linguaggio».

DA QUI IN AVANTI è un susseguirsi convulso di parole, la totalità del reale messa a disposizione attraverso il suo corrispettivo linguistico; del resto, come la tradizione rabbinica insegna, indagare la parola vuol dire scrutare il senso del mondo. Ma il frenetico sfarfallamento stroboscopico con cui i termini appaiono e scompaiono allucinando la percezione retinica, sorretto da una minacciosa sinfonia monolitica e asfissiante di droni ultra pesanti composta da Scott Gibbons, non permette alcuna indagine: commovimento d’animo si può solo subirne l’inculcante violenza. Nessuna rappresentazione, totale astrazione. Niente avviene sulla scena, tutto accade nel pneuma dello spettatore. Affannati e sconnessi, alla fine torna a mente Artaud quando scriveva: «Credo solo all’evidenza di ciò che agita le mie midolla, non di ciò che si rivolge alla mia ragione. Ho trovato un ordine nel dominio dei nervi. Per me è come una riorganizzazione sovrana… la scoperta di un nuovo Senso».