Eduard Meyer, il grande storico dell’antichità tedesco (1855–1930) definì una volta il giacobinismo come un sistema per mandare a morte migliaia di persone colpevoli di non essere virtuose. Non gli si può dare del tutto torto sebbene, nel pieno di una rivoluzione, l’idea di virtù non risponda perlopiù al suo significato ordinario e si presti a ogni sorta di manipolazioni. Ai guasti della rivoluzione giacobina vorrebbe richiamarsi idealmente il titolo di un libro uscito a fine febbraio in Germania, Der neue Tugendterror («Il nuovo terrorismo della virtù») che si propone in quasi 400 pagine di demolire la dottrina del «politicamente corretto», attraverso la quale l’egemonia della sinistra sul mondo dei media impedirebbe l’espressione di ogni pensiero dissonante con lo scopo di occultare scomode verità e scabrose circostanze.

Ma a dire il vero tutto può essere imputato al «comitato di salute pubblica» salvo di esser stato politicamente corretto.

L’autore del monumentale pamphlet si chiama Thilo Sarrazin ed esprime opinioni non dissimili dalla nostra Oriana Fallaci ultima maniera, o da Giampaolo Pansa. E anche la lamentazione sull’improbabile spettro di una egemonia culturale della sinistra (che una sola apparizione di Matteo Renzi farebbe immediatamente scomparire) è ben nota da un pezzo alle nostre latitudini. Il perseguitato dal «terrorismo della virtù», e dalla conseguente censura progressista, è in realtà un autore da centinaia di migliaia di copie che infesta i talk show e dilaga sulle pagine dei principali giornali tedeschi. Il personaggio, poi, non è certo di quelli di secondo ordine. Esponente da sempre della Spd (che ancora non lo ha cacciato nonostante la richiesta di molti esponenti del partito in questo senso) è stato membro della direzione della Bundesbank e ministro delle finanze nel senato di Berlino.

La legge della Bundesbank

La sua fortunata carriera di polemista ha inizio con un volumone intitolato Deutschland schafft sich ab, («La Germania si autodistrugge») nel quale si lamenta, statistiche alla mano, l’abbassamento del livello culturale e civile della Repubblica federale dovuto all’immigrazione, soprattutto islamica e alle relative politiche di integrazione. Prosegue, poi, con un’altra ponderosa opera intitolata L’Europa non ha bisogno dell’euro (tradotta in italiano per i tipi di Castelvecchi) nella quale rilegge l’insorgenza e lo sviluppo della crisi dal punto di vista dell’interesse tedesco e dell’euroscetticismo. Trattandosi di un economista che conosce il suo mestiere non fatica a evidenziare le molte incongruenze che circolano nell’interpretazione della crisi, ma lo schema ordoliberista cui si attiene non presenta grandi novità e la posizione politica è del tutto chiara: l’euro e l’Europa, che a Berlino non avrebbero affatto recato i vantaggi che molti gli attribuiscono, non sono che il frutto di quel senso di colpa di cui la Germania dovrebbe finalmente liberarsi, per poter agire con le mani libere e la mente sgombra dai rimorsi sullo scacchiere globale. Dalle numerose critiche demolitrici che i suoi due best seller hanno ricevuto nella Repubblica federale, Sarrazin, cui non difetta certo una buona dose di narcisismo, desume l’esistenza di quel «terrorismo della virtù» di cui si ritiene vittima e contro cui si scaglia nell’ultimo recente libro, lanciato sul mercato con una prima tiratura di centomila copie.

Il tema che ricorre nei suoi scritti e nei suoi numerosi interventi pubblici è la denuncia di un presunto «delirio egualitario» che dall’integrazione dei migranti, al riconoscimento del pluralismo culturale, alla parità di genere, alla penalizzazione dei migliori condurrebbe all’ennesimo «tramonto dell’Occidente». O, più precisamente, della Germania, sempre inchiodata a quel passato che la richiama a una particolare responsabilità nei confronti dell’Europa e a una estrema circospezione nell’esibire la propria potenza. I ricchi, insiste Sarrazin, non si devono vergognare, né i singoli, né le nazioni. E nemmeno lasciarsi condizionare dalla memoria storica. Il polemista non nutre dubbi, ciò che i suoi critici vorrebbero ridurre a opinioni, più o meno detestabili, sono verità, dati di fatto, constatazioni incontrovertibili. Qualche esempio? Prendendo per oro colato studi e statistiche sul quoziente di intelligenza (è davvero straordinario che qualcuno abbia ancora il coraggio di farlo) il nostro autore stabilisce che tanto i più intelligenti quanto i più stupidi sono di sesso maschile e che, in conseguenza, la medietà (o mediocrità) delle prestazioni intellettuali femminili renderebbe improponibile qualsiasi pretesa ideologica di parità. Oppure, stabilendo la maggiore fragilità del bambino educato da un singolo genitore, Sarrazin propone un regime premiale per le coppie che rinuncino al divorzio o alla separazione. Non c’è, insomma, pulsione reazionaria che non trovi tra le righe e le parole di questo singolare socialdemocratico, accanitamente attaccato alla sua appartenenza di partito, la propria soddisfazione.

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Ipocrisia delle paroli forti

Il mugugno popolare assume nelle opere di Sarrazin la veste della scienza, il pregiudizio si trasforma abilmente in dato statistico e giudizio analitico. Quello che «molti pensano, ma non osano dire» trova finalmente la sua formulazione «alta».

È comprensibile che simili opinioni abbiano prodotto un certo imbarazzo nell’establishement di Berlino e nella grande stampa, con l’eccezione entusiasta di quella più decisamente di destra. Non è certo piacevole, dopo aver fatto della competizione tra persone e della competitività tra paesi il principio più sacro e inviolabile, dopo aver fatto della norma liberista una indiscutibile legge di natura, dopo aver imposto all’Europa intera l’«ideologia» tedesca e la «virtù» della solvenza e avere equiparato il debito a una vergognosa colpa, sentirsi accusare di «delirio egualitario». Va bene la blindatura delle frontiere, la limitazione dell’immigrazione, la restrizione del diritto d’asilo, ma non è bello sentir dire fuori dai denti, come si permette di fare Sarrazin, che «vivere sotto una dittatura o patire la fame non è una buona ragione per chiedere asilo». In realtà è proprio quest’ultimo, Thilo Sarrazin, a esercitare insistentemente il «terrorismo della virtù» in quella moderna versione meritocratica che considera un eccesso di correzioni egualitarie (di cui comunque sempre meno si vede traccia) come un ostacolo allo sviluppo e un indebolimento del «principio di prestazione». E che non esita a considerare il debito e la povertà come una colpa che non merita alcun aiuto ma solo espiazione.

Il «politicamente corretto», lungi da ogni pretesa di «terrorizzare» chicchessia, è, al contrario, quella sottile patina di ipocrisia, quel dispositivo linguistico di cui buona parte delle aspirazioni del nostro autore abbisognano per poter essere realizzate. Non è certo, come sostiene Sarrazin, «un codice ermetico del buono, del vero e del corretto», ma lo strumento ideologico mediante il quale si cerca di impedire che la violenza economica (quella, per intendersi, che ha fatto crescere la mortalità infantile in Grecia del 43 per cento dall’inizio della crisi, che ha moltiplicato i malati di Aids e accorciato la vita di tutti) riceva, come meriterebbe, una risposta violenta. La condanna delle «parole forti» copre retoricamente l’esercizio delle maniere forti. Il galateo accompagna da presso l’uso del manganello. Da quando le socialdemocrazie hanno scoperto che «il liberismo è di sinistra» bisogna stare bene attenti a come si parla per non compromettere la tenuta di questa brillante simulazione. Laddove il politicamente corretto e la ruvida realtà delle politiche di sfruttamento del lavoro e di demolizione del welfare interagiscono e si sorreggono a vicenda.

La violenza della Troika

Il successo «letterario» dell’ex senatore berlinese è un segno evidente dei pessimi umori che circolano in Germania, così come il seguito, per nulla trascurabile, conseguito dal partito antieuropeista «Alternative fuer Deutschland». Ciò che dovrebbe preoccuparci è soprattutto la possibilità, per nulla remota, che questi umori, al di là da ogni condanna delle detestabili esternazioni di Sarrazin o dai risultati elettorali degli euroscettici, condizionino pesantemente la politica della grande coalizione che governa a Berlino. Del resto la Bundesbank, che pure, (contrariamente alla Spd, ben attenta a non perdere i voti provenienti da destra che personaggi come Sarrazin le garantirebbero), si è liberata del suo imbarazzante alto funzionario, non parla certo il gergo del «politicamente corretto» e coltiva una collaudata forma di terrorismo della virtù. Quella che tutti i paesi indebitati d’Europa hanno largamente sperimentato sulla propria pelle. E che Sarrazin condivide ampiamente aggiungendovi quell’armamentario biologico-razziale di cui altri fanno invece mostra di vergognarsi. I suoi testi polemici hanno l’indubbia utilità di presentarci, nella sua cruda arroganza, il catalogo completo di tutto ciò che in Germania e in Europa merita di essere denunciato e combattuto. Di mettere in bella copia le tonalità emotive di una opinione pubblica corrotta dall’ideologia della propria virtù, sempre sull’orlo di trasformarsi in senso di «superiorità».

A corrispondere perfettamente alla definizione che Eduard Meyer diede del giacobinismo sono a dire il vero le politiche recessive, elegantemente definite «aggiustamenti strutturali», che l’attuale comitato di salute pubblica costituito dall’Fmi, da Bruxelles e dalla Bce impongono ai paesi dell’Europa mediterranea, e cioè un sistema per mandare a morte decine di migliaia di persone colpevoli di non essere virtuose, e probabilmente neanche di questo. Non è una profezia è una realtà pienamente dispiegata di cui quotidianamente possiamo constatare gli effetti. E non solo nella devastata Grecia.

Su una cosa, a dire il vero, non si può dare torto a Thilo Sarrazin: non esiste una gestione «politicamente corretta» della crisi e, ancor meno una risposta cortese ad essa. Esiste solo un linguaggio che ne occulta la violenza, da una parte, e una estenuazione che non riesce a trasformarsi in insorgenza, dall’altra.