Qual’ è il riflesso dei grandi eventi sportivi, dalle olimpiadi ai mondiali di calcio, sulle metropoli che li ospitano? Quali conflitti abitativi hanno prodotto i cantieri olimpici di Londra 2012 e di Rio 2016? Enrico Masi racconta le ripercussioni sociali e urbanistiche a Rio come a San Paolo, attraverso la trilogia brasiliana Lepanto, Ultimo cangaceiro, Terra Sem Males, che rappresenta un ponte con The Golden Temple il precedente film sulle olimpiadi di Londra. Enrico Masi, ha fondato con Stefano Migliore e Stefano Croci la Società Cooperativa Caucaso, casa di produzione che opera nel cinema di ricerca. La presentazione dei film, avverrà prossimamente a Modena il 22 febbraio Sala Truffaut, poi a Torino al Cinema Massimo, Lecce, Bologna, Milano, Padova, Firenze, Prato, Perugia, Oppido Lucano, Genova.

Perché hai scelto lo sport, per raccontare il tema dell’impatto sociale dei grandi eventi?

Ho praticato molto lo sport fino a 20 anni, in particolare la pallamano e il nuoto. Ho sempre visto una certa competizione, una sorta di ferocia, non ho vissuto lo sport in maniera pacifica, lo vivevo come espressione di un malsano spirito di competizione. Ho smesso quando ho capito che l’ambiente ti chiedeva di “fare sul serio”, di curare il fisico, essere molto forte. In squadra c’era un ragazzo croato molto forte fisicamente, che proveniva da una situazione di violenza, era fuggito dalla dell’ex Jugoslavia, una condizione ben rappresentata dalla frase di George Orwell “Sport is war minus the shooting”, che Mike Wells cita in The Golden Temple. Non voglio demonizzare lo sport, ma sottolineare una sua parte dura, oscura.

Che cosa hai raccontato in The Golden Temple?

Ho raccontato la vita di un uomo, Mike, che è completamente cambiata in occasione dell’evento olimpico. Viveva a Londra e con le olimpiadi ha visto stravolta la sua vita, a causa di un esproprio coatto e della demolizione di una grande casa sociale, dove c’erano cooperative house, vivevano circa 400 persone, che hanno ricevuto un indennizzo, ma si è perso una comunità importante dentro un quartiere laboratorio dell’est di Londra.

Gli esperti ci dicono che si ” rimette in moto l’economia”. E’ così o i cantieri olimpici esprimono violenza?

La violenza è stata oggettiva, vari comitati hanno sostenuto che a Londra quell’ architettura doveva essere salvaguardata. Nel film In the Golden Temple, ho perimetrato ossessivamente il sito olimpico, alla ricerca di storie marginali. Ho incontrato anche persone entusiaste riguardo a quello che stava succedendo, un entusiasmo velato da un senso di demolizione, perché sono cantieri talmente imponenti e invadenti che difficilmente nel giro di un anno o due si vedono i risultati proposti dai piani urbanistici. Alcuni sociologi inglesi mi hanno detto di tornare dopo dieci anni, perché avrei fatto sicuramente un nuovo film.

Che cosa resta di quanto è stato costruito ?

Londra non era una città arretrata da un punto di vista delle infrastrutture e dei servizi, l’aeroporto era già lì, la metropolitana ha un secolo di vita, il parco che è stato costruito, sembra che in parte ci fosse già, all’inizio dell’area olimpica di nuovo hanno realizzato il più grande centro commerciale d’Europa. La novità è stato il modello di pensiero che si è affermato alle spalle di una città come Londra, un modello di capitalismo sfrenato, di consumismo, il modello urbanistico prevede che la gran parte dei viaggiatori che sbucano dalla metropolitana o dagli autobus passi attraverso il più grande centro commerciale d’Europa, altri ritengono che il vecchio pub inglese non abbia più un valore.

Lepanto?

Dopo i cantieri di Londra dovevo andare a Rio, avevo appena iniziato il dottorato di ricerca e grazie a una borsa di studio e al sostegno della cooperativa Caucaso ho potuto realizzare Lepanto, assistito alla regia da Alessandra Lancellotti e Joao Pedro Amorim.   Dopo The Golden Temple, Enrico Ghezzi mi disse: “Vai oltre”. Ho rifiutato di percorrere la strada già battuta del documentario, che si sta neutralizzando e irreggimentando. Sono partito per il Brasile e ho girato per due mesi alla ricerca di una sorta di serialità dell’impatto del grande evento, trovandola in un’avventura umana tra Rio de Janeiro e San Paolo, che per me ha rappresentato uno shock emotivo, perché sono entrato in contatto con delle realtà famigliari dentro questi cantieri immensi.

Che cosa ti ha colpito?

A San Paolo, tra le più grandi città del mondo, il giorno in cui arrivai era crollata la torre del cantiere dove si costruiva l’Arena Corinthians ed erano morti alcuni operai. Un sociologo brasiliano mi diceva che era il nono stadio della città che stavano costruendo. Sono costruzioni che nessuno chiede, è questo l’altro lato dei grandi eventi sportivi, di fianco a quello stadio ci sono delle comunità prive di acqua, le scuole sono inesistenti o molto lontane o per i ricchi.

Un personaggio di Lepanto dice che il 25% dei terreni è stato riservato agli impianti sportivi, il 75% alla speculazione edilizia. Riguarda solo Rio o anche altri grandi eventi sportivi?

E’ un dato costante, che può variare di qualche percentuale minima tra le varie olimpiadi, a partire da Roma 1960. Il carattere rapace, speculativo, che celano i grandi eventi sportivi, esiste da tempo, già dalla seconda olimpiade moderna, quella del 1900, che si inserisce nell’esposizione universale di Parigi, quelle a seguire sono sempre all’interno di un quadro finanziario. Alcuni appuntamenti olimpici hanno fatto eccezione, come le olimpiadi di Stoccolma del 1912, di Helsinki del 1952,  per aver risposto ad alcuni problemi della città, su questo versante si collocano anche le olimpiadi invernali di Torino del 2006, anche se la questione è dibattuta, il contrario di quello che è avvenuto a Sochi, in Russia, sono state le olimpiadi più costose della storia, segno di supremazia del potere, non a caso l’appuntamento olimpico ha consentito alla Russia di aumentare il controllo delle infrastrutture, come gli oleodotti, ai confini con la Georgia. C’è un collegamento molto stretto tra lo sport e la violenza capitalista degli ultimi cento anni, il secolo della modernità.

I quartieri residenziali costruiti in nome dei grandi eventi sportivi, comportano l’allontanamento dei vecchi abitanti?

Questo è un’altro tema scottante, si instaura un processo di gentrificazione, ovvero di trasformazione della composizione sociale in aree dove l’aumento dei servizi determina la conseguente pressione immobiliare. In Brasile i cantieri sono stati aperti per sette anni,  mi aveva colpito un cartello che recitava “Le olimpiadi sono per gli atleti poi per voi” era rivolto ai futuri abitanti che avrebbero comprato gli appartamenti del villaggio olimpico, il limite tra un’agenzia pubblicitaria e il ruolo dello Stato si assottiglia enormemente.

Una delle scene finali di Lepanto inquadra in controluce la spiaggia di Panema, dove tanti piccoli gruppi di persone giocano a calcio, palleggiano, fanno passaggi. Che cosa vuol dire?

In quel caso il dato più rilevante è la spontaneità e l’autenticità del gioco, sottolineata da un’altra scena in cui si riprendono tanti ragazzi che partecipano a un torneo autorganizzato a San Paolo in occasione della Coppa. In Lepanto ci sono molte immagini che riguardano questo campo, che giace nel centro storico di San Paolo, in una zona abbandonata, ho costruito una delle due porte del campo, all’interno di un palazzo occupato che sorge lì vicino. Quella scena sulla spiaggia di Panema al tramonto è un’esperienza collettiva con migliaia di persone che giocano a calcio e altre che fanno il saluto al sole, una modalità pagana molto forte e rispettata. Tutti condividono il gioco in maniera spontanea e in un luogo pubblico, un fenomeno ben descritto in Essere in gioco. Calcio e Cultura tra Brasile e Italia del semiotico brasiliano  Paolo Demuru . In Brasile esiste uno spirito di spontaneità legato allo sport trionfante e trionfale, molto simile all’esuberanza tropicale che caratterizza i brasiliani.