«Dalla prima elementare avevo intuito che per stare a galla dovevo piacere agli altri»: è questo che scrive, dal carcere, Cesare Barozzi, diciannovenne protagonista del nuovo ottimo romanzo di Giacomo Cardaci, Zucchero e catrame (Fandango, pp. 282, euro 17,50). Cresciuto nella provincia di Udine, Cesare ha dovuto imparare presto a camuffare i propri desideri e la propria natura, fin dalle scuole elementari, quando suor Dolores – temibile insegnante nostalgica dei vecchi metodi educativi-punitivi, più simile alle Streghe dell’omonimo romanzo per l’infanzia di Roald Dahl – scoprì nel suo zaino Miss Raperonzolo dai lunghi capelli viola, costringendolo a testimoniarne il supplizio di nylon tagliato e plastica sventrata sulla cattedra. La sofferenza della bambola, quella mattina, avrebbe lavorato nella mente di Cesare per anni. Fortuna che in classe c’è Ines, ribattezzata Lines per via della pubblicità degli assorbenti. Lines che quando suor Dolores mette sotto chiave quel che resta di Miss Raperonzolo, dice a Cesare «Riprendiamocela». È in quel plurale che si annida la forza, la complicità, l’amicizia, e quel plurale è l’opposto della solitudine. Lines che quando anni dopo andrà incontro a Cesare in piazza Cairoli a Milano è talmente cambiata da non avere più un passato comune. È così che lavora il tempo, deforma i ricordi per rendere più sopportabili le storture della vita, o almeno per darle quel poco di coerenza che è necessaria a non soccombere del tutto.

MA LE INTERMINABILI GITE con i perfidi compagni di classe vengono archiviate quando il padre di Cesare, criminale e primo responsabile del senso di inadeguatezza del figlio, annuncia alla famiglia il trasferimento in città, in un monolocale claustrofobico nella periferia milanese, una periferia evocata da Cardaci con una potenza e una verità che si fa odore sulla carta. È nell’agglomerato di cemento che Cesare incontra per la prima volta Gabriele, «Gabbo», un sedicenne sfrontato e bellissimo che abita al piano di sopra; impossibile non vivere quell’incontro come un assedio, una presa, il primo grande amore della giovinezza assurdo e vertiginoso. «Allora confondevo l’affetto con la bellezza», ed è questa per Cesare una linea di demarcazione invisibile nell’adolescenza che lo porta col tempo a fidarsi di Gabbo e a preferire il dolore al nulla, il disprezzo alla disattenzione. «Capii che renderlo felice mi rendeva felice: anche se si trattava di una felicità prezzolata, destinata a svanire presto». Cesare desidera tutto di Gabbo, desidera il suo corpo da quando gli ha permesso di masturbarlo in camera davanti a un dvd porno etero, desidera essere lui quando Gabbo gli parla della ragazza che vuole conquistare.

IL DESIDERIO, nel romanzo di Giacomo Cardaci, è un motore neutrale: può spingere verso la vita o verso la distruzione. È così per Cesare, incapace di trasformare l’odio in oro come un moderno Mida metropolitano, sempre intento a fingersi esattamente come gli altri lo vogliono senza mai riuscirci. È tramite Gabbo che conoscerà Franco Mori, maniaco cinquantenne pronto a pagare qualunque prezzo per farsi umiliare sessualmente dai ragazzi che Gabriele gli procura. Emulando il suo amore impossibile, Cesare si renderà complice di quel giro di prostituzione, imboccando una strada senza uscita.
Cardaci ha scritto un mirabile libro sulla costruzione dell’identità negativa e lo ha fatto decidendo di narrare una storia feroce, disturbante, priva di redenzione e salvezza, dall’incredibile impatto emotivo, dimostrando una capacità romanzesca fuori dal comune. È un piacere e un dono, in tempi di dilagante (seppur valida e fortunata) autofiction, leggere Zucchero e catrame, uno dei romanzi più pudicamente politici e sfrontatamente etici di questi ultimi anni.