«È il medium che comanda a tutta quanta l’elaborazione dell’artista» scriveva Rosalind Krauss nel suo Under Blue Cup del 2011. Un’affermazione da leggere all’interno del dibattito statunitense intorno alla teoria formalistica dell’arte, dove la critica di Washington intendeva prendere le distanze da Clement Greenberg. Per quest’ultimo, il medium è sempre stato qualcosa di fisico, di materiale, in grado di donare all’arte un valore essenzialmente plastico, figurativo. Per Greenberg, pittura e scultura «si esauriscono nella sensazione visiva che producono». Esse, cioè, hanno compreso la specificità del proprio medium e attraverso esso il loro autonomo statuto. Al contrario per Krauss il medium ha a che fare con la logica e con la memoria, un’impalcatura, un «supporto» capace di determinare, con le sue regole, l’azione dell’artista e di liberarne l’inventiva, dando una precisa direzione estetica alla rappresentazione.
E non è un caso se la mostra Pastels Du XVIe au XXIe siècle ospitata alla Fondation de l’Hermitage di Losanna (a cura di Sylvie Wuhrmann e Aurélie Couvreur, fino al 21 maggio) ha l’obiettivo di ripercorrere sei secoli di arte proprio a partire da un determinato supporto materico, dal medium utilizzato in tutte le opere presentate: il pastello. Infatti, sotteso a questa scelta, troviamo un concetto estetico ben preciso, di cui i curatori hanno voluto farsi portavoce: è la tecnica di disegno a prefigurare lo scenario espressivo e simbolico all’interno del quale l’artista intende collocarsi, prima ancora che quest’ultimo abbia deciso del contenuto interno all’opera stessa.
Puntare l’attenzione sulla tecnica del pastello significa cioè porsi su un piano meta-artistico; significa voler indagare il contesto o, per meglio dire, il pre-testo, che motiva e dona significato all’azione del pittore. E, in questo senso, può essere d’aiuto quello che scrive il poeta Claude-Henri Watelet nel 1760 a proposito dei pastelli, i quali «della bellezza esaltano brillantezza e fragilità». In altre parole, riprendendo il pensiero di Krauss, già attraverso l’uso del pastello l’artista si è voluto porre in un orizzonte potremmo quasi dire «impressionistico», dove la natura granulare e instabile del supporto prospetta immediatamente una rappresentazione fugace, a stretto contatto con il fuggire via del tempo e dell’istante.
Così, l’itinerario proposto riserva un ruolo di primo piano proprio ad alcuni dei più grandi impressionisti francesi. Su tutti, Degas e le sue Danseuses (Danseuses au repos) del 1898, e Manet, soprattutto con La Viennoise, uno dei ritratti dedicati a Irma Brummer. In entrambi i casi, la cifra estetica del pastello emerge in modo chiaro e univoco: grazie a questo supporto materico i colori vivaci e decisi, uniti a un tratteggio in certi casi addirittura grossolano, non ostacolano ma anzi rafforzano la sensazione di sfuggevolezza che predomina in entrambi. Come se i due maestri fossero riusciti a tenere insieme la dimensione del tempo e quella dell’eternità, permettendo a un’emozione del tutto transitoria ed effimera di stamparsi in modo duraturo e tutt’altro che superficiale sulla cornea dell’osservatore.
Un altro capolavoro dell’arte europea, che sposta l’intero focus dell’esposizione dalla pittura dell’Ottocento a quella del secolo successivo, è Buste de Femme Endormie di Picasso (1970). Anche qui, il pastello non è solo un mezzo di raffigurazione, al contrario fornisce già una direzione alla visione e alla sensibilità dell’artista. Sono l’impasto voluminoso dei suoi colori e la nota accesissima dei pigmenti che permettono all’immagine di balzare fuori e, per converso, allo spettatore di penetrare ancora più in profondità dentro la calma e la leggerezza di questa donna assopita.
Accanto a Picasso, nell’ultima sala della mostra, troviamo, fra le altre, opere di Klee, Miró, Kupka e Kirchner, per approdare infine ai lavori di alcuni artisti ancora viventi. Fra questi, spicca l’opera che chiude l’esposizione. Si tratta di un «doppio dipinto» del giovane svizzero Nicolas Party, nato nel 1980 proprio a Losanna. Doppio perché composto da un grande murales che riveste l’intera parete e da un ritratto posto al centro dello stesso. Così, sullo sfondo vediamo raffigurato un bosco dai colori quasi fluorescenti, con alberi e cespugli asettici, stilizzati in figure di cerchi e triangoli, mentre ci sorprende un giovane attonito, inespressivo, con occhi sbarrati intenti a scrutare la sala e i suoi visitatori. Un’opera tanto più significativa se si vuole intendere il medium alla maniera di Krauss. Con Party, la tridimensionalità del pastello ha portato la pittura letteralmente fuori dalla tela, fino a ricoprire in ogni sua parte l’intera parete. È l’originaria scelta del medium che ha permesso all’artista di ampliare il raggio d’azione della pittura, svolgendola come in un abbraccio che stringe a sé la sala e le altre opere. L’uomo è lì, appeso in un ritratto e confinato nel perimetro sicuro della cornice che lo ospita. Ma l’arte che lo esprime è tutt’attorno, è quel bosco sognante che allarga i confini e che indica una direzione più universale di significato.
Ad accompagnare la mostra, un filmato che spiega il processo di costruzione dei pastelli. Un lavoro artigianale che parte dalla terra, dalla polvere di cui si compongono i singoli pigmenti. Il pastello, per essere utilizzato, richiede all’uomo un’uscita da sé, pretende un’attenzione e una cura verso la materia e il mondo. E forse è proprio questo il senso di Pastels, che in fondo altro non è se non un viaggio dal pensiero e dalla sensibilità umani verso la natura e il mondo che quel pensiero e quella sensibilità stimolano, arricchiscono, plasmano. Così, forse, l’arte può esser vista non solo come un prodotto dell’uomo, ma come il risultato di una sinergia profonda fra esso e l’ambiente circostante, in un continuo moto di avvicinamento fra il tutto e la parte.