Al pari di una (efficace) legge antidelocalizzazioni, il piano nazionale della siderurgia dovrebbe finire a “Chi l’ha visto?”. Ne aveva parlato l’allora ministro pentastellato Patuanelli all’epoca dei governi Conte. Poi sono arrivati i migliori guidati da Mario Draghi, e anche l’erede di Patuanelli, Giancarlo Giorgetti, si è esposto assicurandone il rapido varo. Che ancora non è arrivato. Intanto però i 60mila lavoratori dell’acciaio, fra diretti e indiretti, che gravitano sui due principali poli siderurgici italiani di Taranto e Piombino, hanno definitivamente perso la pazienza e oggi scioperano, manifestando a Roma. Perché, come evidenziato nello slogan della giornata, “Il tempo è scaduto”.
E’ scaduto, da anni, soprattutto per Piombino, le cui storiche Acciaierie avrebbero meritato sorte migliore dopo aver fatto ricca la capitale della Val di Cornia fino alla fine del secolo scorso. Con una lavorazione a caldo e in ciclo continuo dell’acciaio che per giunta, vista la posizione geografica favorevole dell’istmo piombinese, leniva in parte i pur pericolosi effetti collaterali delle colate dell’unico altoforno sul fronte della salute e dell’ambiente. Quelli tragicamente manifestatisi a Taranto, polo siderurgico più grande d’Europa con i suoi quattro altoforni.
Ad unire, finalmente, le due vertenze è oggi la necessaria decarbonizzazione, che impone scelte nette. A partire dal passaggio dagli altoforni ai meno inquinanti forni elettrici. Un passaggio che però, come ha puntualizzato Gianni Venturi della Fiom Cgil, presentando la manifestazione odierna insieme a Rocco Palombella della Uilm e Roberto Benaglia della Fim Cisl, non deve sacrificare l’occupazione: “Noi siamo per sostenere un processo di decarbonizzazione in una transizione che sia equa e giusta, che non si traduca in deindustrializzazione del Paese, e non si scarichi sui lavoratori e sui loro redditi”. Perché, come tutti sanno sia a Taranto che a Piombino, gli stabilimenti con forni elettrici hanno bisogno di un numero minore di addetti rispetto a quelli con il ciclo continuo dell’altoforno.
Sull’altro piatto della bilancia c’è la possibilità di ristrutturare, o costruire ex novo come in via teorica a Piombino, stabilimenti tecnologicamente avanzati e con ridotte emissioni nocive. Fattore che, si osserva negli uffici sindacali, potrebbe avere il placet dell’Ue nell’indirizzare i finanziamenti del Pnrr anche sul comparto siderurgico. Se il governo Draghi ne assumesse la volontà politica.
Per certo Fiom Fim e Uilm evidenziano che “gli investimenti in transizione ecologica per il grande siderurgico tarantino non solo sono giusti ma anche indispensabili”. Perché sono passati “sette ministri e sette presidenti del consiglio, 13 decreti salva-Ilva che avrebbero fatto meglio a chiamare ammazza-Ilva. Il tutto in una situazione di mercato dove l’Italia dal 2018 ha perso 4 milioni di tonnellate di acciaio. Mentre la Cina ha implementato negli ultimi tre anni quanto produce tutta l’Europa”. Oltre 130 milioni di tonnellate di acciaio, prodotto peraltro senza alcun rispetto per salute e ambiente da parte del governo cinese.
Della partita della transizione ecologica fanno (purtroppo) parte anche Arcelor Mittal che detiene il 60% delle Acciaierie d’Italia a Taranto, e l’altro colosso siderurgico Jindal Sw che possiede le Acciaierie di Piombino. Le peculiarità del caso pugliese hanno portato all’ingresso dello Stato con Invitalia. Ma a gestire è sempre il privato, che non si sta facendo scrupoli nel delocalizzare gli approvvigionamenti dei refrattari mandando in crisi i quattro stabilimenti Sanac. Mentre a Piombino l’ad Marco Carrai spinge per avere lo stesso trattamento, cioè l’entrata di Invitalia senza mettere bocca ma con un po’ di cash – Jindal non vuole mettere un euro nelle Acciaierie – necessario all’ammodernamento degli ormai fatiscenti treni di laminazione. Mentre i pur previsti forni elettrici restano ancora un mistero. “Ma ci sono persone che stanno in cassa integrazione da dieci anni – denunciano Fiom Fim e Uilm – e hanno problemi di incertezze sul loro futuro che non possono essere ulteriormente rinviati”. E che per questo oggi sono sotto Mef e Mise.