La manifestazione «Vogliamo Vivere» lanciata dall’assemblea «Taranto libera» rappresentava la terza tappa di un percorso nazionale iniziato a Torino a dicembre e passato per la manifestazione di Roma del 23 marzo. A fare da sfondo al corteo di alcune migliaia di persone, non le cime innevate dell’arco alpino o i monumenti di Roma, ma la mole impressionante e brutale dell’acciaieria che da più di 50 anni incombe sulla città dei due mari con il doppio delle sue dimensioni. A farne le spese tutto il territorio tarantino: i dati diffusi dall’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro inchiodano Taranto come la città con il più alto tasso di tumori relazionati all’attività lavorativa. «Il tempo è scaduto, cambiamo Taranto» recitava infatti lo striscione di apertura, dietro il quale sfilavano per primi i tarantini, quelli delle diverse associazioni come Liberiamo Taranto o Tamburi combattenti, e liberi cittadini. Presenti in misura minore rispetto ad altre manifestazioni che hanno visto una partecipazione molto più trasversale di quella di questo 4 maggio. Una manifestazione con un grande protagonismo dei giovani, che hanno dato voce a una generazione a cui il modello economico industriale oltre al diritto alla salute sta negando anche il diritto allo studio, in una città dove l’Università è ridotta ai minimi termini e che nei giorni di vento chiude le scuole a causa delle polveri nocive prodotte dall’acciaieria.

Sempre gli studenti sul tema reiterato del ricatto fra salute e lavoro un altro significato «il nostro futuro non può essere quello di andarcene e il lavoro non può essere solo Ilva, Eni e Marina Militare» ha gridato dal furgone la coordinatrice dell’Uds, fra le organizzazioni studentesche presenti. Nonostante i tanti giovani l’atmosfera non era quella spesso festosa dei Friday for Future: il percorso, reso più lugubre dalla pioggia battente, portava ai cancelli dell’Ilva sotto le ciminiere e le mastodontiche strutture dell’acciaieria che lambiscono il quartiere Tamburi e annientano la presenza dell’acquedotto romano, mentre dal furgone si comunicavano anche le morti più recenti provocate da tumori.

«Sono i lavoratori quelli che pagano di più, i sindacati che hanno firmato l’accordo ci hanno distrutto» ribadisce un ex operaio in cassa integrazione. Una volta arrivati ai cancelli la rabbia di una parte della manifestazione è esplosa con il tentativo di scavalcare le barriere e il lancio di alcuni oggetti verso lo stabilimento e le forze di polizia e carabinieri schierate a difenderlo, momenti di tensione che si sono risolti in breve tempo. Ad animare la manifestazione c’erano anche le rappresentanze di tanti territori da tutta Italia, dalla Val di Susa alla Val D’Agri, dal Veneto delle grandi navi alle Terre dei Fuochi campane, ma anche Bagnoli e Cremona, Avellino e Brindisi: tutti a dire che il tempo è scaduto non solo per Taranto, ma per tutti quei luoghi in cui ambiente e salute vengono sacrificati in nome di un modello di sviluppo che da tempo sta mostrando la corda, creando profitto per pochi e degrado ambientale e sociale per molti.

«Siamo qui perché lo scempio che ha subito questa terra è lo stesso che vogliono portare da noi in nome del progresso: inquinamento, mancate bonifiche, danni ambientali irreversibili» grida il portavoce dei No Tap «siamo qui per capire come andare avanti insieme». La necessità di continuare collettivamente questo percorso emerge da tutte le realtà: a chiedere piani di lavoro alternativi, bonifiche dei territori avvelenati, modelli sociali inclusivi, monitoraggio e cure adeguate per le vittime dell’inquinamento, tutela delle risorse ambientali e culturali dei territori sono in tanti e la consapevolezza è quella che da soli non si può andare avanti.

Definita più volte come la tappa di un lungo percorso, la manifestazione si è conclusa lanciando l’appuntamento per l’assemblea nazionale dei Movimenti per il Clima e contro le Grandi Opere Inutili che si terrà a Roma il 18 maggio, e guardando al prossimo Sciopero per il Clima dei Friday for Future che si terrà il 24 maggio.