Nel giro di pochi decenni, nella disattenzione universale, il rapporto delle società umane con il futuro si è repentinamente capovolto. Le aspettative di un miglioramento progressivo delle condizioni di vita, portato dagli anni a venire grazie al continuo progresso tecnico e alla crescita economica, si sono dissolte.

La relazione fiduciaria fra gli uomini e il tempo storico, nata con l’età contemporanea, è andata in frantumi. Sull’avvenire nubi minacciose incombono con velocità crescente. E nel paesaggio che si profila la lista dei disastri annunciati dovrebbe togliere il fiato.

C’è da scegliere, tra il ghiacciaio Larsen B, una piattaforma di migliaia di km2, un pezzo di continente antartico, chiamato dagli scienziati il «ghiacciaio dell’apocalisse», che potrebbe finire in mare da un momento all’altro, provocando un innalzamento incalcolabile del livello dei mari. Oppure la fuoriuscita del metano dal fondo degli oceani per effetto del riscaldamento delle acque – già, pare, registrato dagli esperti nell’Atlantico – i cui effetti generali nessuno riesce a prevedere.

O ancora la diffusione dei cicloni nel Mediterraneo, gli incendi indomabili nelle foreste della Siberia o della California, la siccità prolungata in varie regioni dell’Africa e dell’Asia, le estati roventi che rendono inabitabili estesi territori in tante aree della Terra.

Dunque siamo entrati in un’epoca assolutamente nuova. Non è un caso che il nostro futuro, per la prima volta nella storia, sia monitorato da una istituzione scientifica internazionale, l’Intergovernamental Panel on Climate Change. Così come oggi i vari comitati scientifici cercano di orientare le scelte dei governi di fronte alla pandemia.

Una fase storica drammaticamente inedita in cui tuttavia facciamo ingresso con culture, strutture istituzionali, leggi, organizzazioni politiche manifestamente vecchie, relitti di un continente alla deriva. Le varie Cop con cui gli Stati cercano accordi sul clima appaiono finzioni intollerabili, se si pensa che questi stessi Stati, mentre si riuniscono a Parigi o a Glasgow, raddoppiano le spese in armamenti, alimentano guerre, finanziano gruppi militari, fomentano sanguinosi conflitti civili.

E val la pena notare che mentre la Terra è disseminata di focolai bellici, e oggi, in Europa, la vecchia guerra fredda degli americani contro la Russia rischia di deflagrare in conflitto aperto sulla vicenda dell’Ucraina, da decenni non si vede sorgere né in Europa né negli Usa alcun movimento in difesa della pace. Le straordinarie mobilitazioni di massa che hanno segnato il XX secolo, sino alla grandiosa manifestazione planetaria del 15 febbraio 2003, si sono come inabissate.

Le ragioni di questa eclissi sono tante, ma per quanto riguarda l’Italia e l’Europa, la più importante è sotto gli occhi di tutti. L’impotenza, la viltà, il nanismo politico dei governanti europei, incapaci di abbandonare la Nato e di rendersi protagonisti del multilateralismo che oggi sarebbe vitalmente necessario e che gli Usa sabotano da anni.

Sfugge alla gran parte degli osservatori il pericolo che oggi gli Stati uniti rappresentano: una potenza mondiale in declino, lacerata da drammatiche divisioni interne, che si sente insidiata dal sorgere di altri poteri planetari, può deragliare rovinosamente se non è aiutata e costretta ad accettare un nuovo policentrismo nel governo del mondo.

Ma in casa nostra possiamo osservare come l’assenza di un partito di sinistra condanni all’inerzia la società civile, sia di fronte alle minacce ambientali che alle guerre presenti e future. Non è un caso che le uniche manifestazioni per la difesa del clima siano state quelle innescate da Greta Thumberg. Il Partito Democratico, che con linguaggio truccato i media continuano a chiamare di sinistra, fedelissimo alla Nato, non osa muovere un dito per dar vita a un qualche movimento pacifista.

Come denuncia spesso il manifesto nel 2021 questo governo, con il ministero della Difesa, presieduto dal dem Lorenzo Guerini, ha stanziato 12 miliardi di euro per programmi di riarmo. Appare dunque oggi di una evidenza solare la drammatica e urgente necessità di un partito che rappresenti la volontà di pace della maggioranza degli italiani, che imponga con mobilitazioni popolari nuove scelte di governo.

Non abbiamo solo bisogno di un partito che rappresenti i bisogni popolari, ma che mobiliti le forze sociali, che organizzi, come diceva Gramsci, la volontà collettiva. Bisogna far presto, svestirsi dei panni di elettori periodici e assumere quelli di cittadini protagonisti. In questi giorni apprendiamo che gli abitanti sul pianeta sono diventati 8 miliardi.

Nei prossimi anni avremo sempre più bocche da sfamare e sempre meno acqua, terre fertili, mari pescosi e puliti, foreste integre, regioni abitabili, minerali e fonti di energia. Mentre è altamente probabile che dovremo far fronte a migrazioni incalcolabili di profughi ambientali, a pandemie sconosciute, caos climatico che colpirà le nostre agricolture, eventi estremi che porteranno distruzioni fin nelle nostre città. Il tempo non lavora più per noi, e anzi incalza e quello del politica degli Stati è arcaico e contro il nostro avvenire.