Almeno fin dal XIX secolo molti tra i più importanti studiosi e altrettanti scrittori si sono dedicati (anche) alla questione degli indumenti femminili. Il tempo della moda, curato per Meltemi da Caroline Evans e Alessandra Vaccari, docenti di storia e teoria della moda,offre una raccolta di saggi correlati e coordinati dalle riflessioni delle autrici. Diviso in tre parti – Tempo Industriale, Tempo Antilineare, Tempo Ucronico – il libro rende il tempo invisibile protagonista della maniera di rivestire le donne. Sia per i manufatti che per i prodotti industriali, il ritmo con il quale mutano stili e forme raggiunge, nel nuovo millennio, una velocità che non ha pari in altri ambiti produttivi.

Quale idea di bellezza
Messa in relazione con la moda, la nozione di tempo assume aspetti particolari, dettati dal fatto che la moda femminile viene costruita utilizzando modi e stilemi del passato per interpretare il futuro, mentre attraversa il presente. Le collezioni esibiscono un «incessante processo di citazioni» con forte inclinazione al sogno, al fantastico, all’immaginario onirico dove molte epoche s’incrociano allo stesso istante. Difficile sostenere che ci sia una evoluzione nella moda, visto che essa esprime, piuttosto, la propria autoreferenzialità. Dove nasce tutto questo interesse nel rivestire le donne? Perché attorno agli abiti maschili il tempo scorre, invece, senza grandi cambiamenti e con cimentate certezze su cosa è corretto e elegante per un vero gentleman?

Si dà per scontato che l’abbigliamento maschile debba essere ripetitivo: di sicuro, nessun designer può ribaltare i fondamenti dell’abito dell’uomo, mentre un ‘geniale creatore’ di abiti femminili può scardinare ogni proporzione e idea di bellezza, imponendo il suo stile (un esempio: Dior con il New Look nel 1947).
Non a caso, le riflessioni sul tempo della moda oscillano fra un «non ancora» e un «non più»: vi è implicato il fatto che la moda si rispecchia e si rivolge a persone di sesso femminile, a loro volta pensate come dentro una bolla fra l’età del «non ancora» e l’inevitabile «non più».

La maggior parte delle riflessioni sulla moda proviene da studiosi europei e di oltreoceano, che diversamente da quelli italiani la ritengono un indizio significativo dei fenomeni sociali. E dunque anche il libro curato da Caroline Evans e Alessandra Vaccari indica la significatività del ragionare in termini filosofici, sociologici, antropologici, storici e letterari sulla relazione del potere con l’imperativo di apparire piacenti a seconda della cultura del momento.
Salvo rarissime eccezioni, la moda non ha stimolato, negli atenei italiani, ricerche e pubblicazioni di interesse internazionale, e non a caso i testi utilizzati nelle scuole di moda nostrane sono perlopiù di studiosi stranieri del secolo scorso. Il tempo della moda mette il lettore di fronte alla questione relativa all’esigenza di mutare in continuazione le sembianze femminili. Cosa c’è di eterno nel transitorio: questo si domandano le autrici. Sarà per fermare il tempo richiamandovi reiteratamente i segni del passato che si pretende di consegnare un così sproporzionato valore all’insignificante e all’esteriorità?

Certo, la moda è frivola, capricciosa, effimera, infedele, caduca e chi la disegna è quasi sempre un maschio che sogna d’immortalare sua madre nelle mise più disparate, oppure una stilista incline a vestire la sua idea di femminile in funzione del sogno maschile. Eppure, la lentezza dona valore alla qualità: il fatto a mano non può che essere la voce principale del concetto di lusso. Il manufatto al telaio, il ricamo o il cucito a mano sono portatori di nostalgiche, ataviche memorie e sono forse anche un antidoto all’«ossessione della novità» di cui Roland Barthes aveva già consapevolezza a metà del secolo scorso.

O dandy o nessuno
La macchina della Moda continua ruotando attorno a se stessa secondo una «temporalità modulare», offerta sul mercato come novità.
Il libro contiene innumerevoli spunti di riflessione: perché tocca alle donne essere il bersaglio dell’ingegno maschile? Come mai nel libro l’unico spazio dedicato all’abbigliamento maschile è quello della figura del dandy?
Queste e altre domande possono attivare ragionamenti mai tentati partendo dalla lettura di un testo ricco di raffinata erudizione, su un argomento troppo facilmente tributato di sublime superficialità.