Le domande proposte dallo Strike Meeting, che si svolto lo scorso fine settimana a Roma, sono semplici, nella loro difficoltà. Le riportiamo, aggiungendo un commento singolare a un evento la cui ricchezza non può che essere espressa da tante voci: è possibile costruire un’opposizione sociale radicale alle politiche neoliberali europee e al governo Renzi? È possibile farlo, soprattutto, in un paese segnato dal declino e dalla marginalità, oltre che economici, politici e culturali? Queste le domande a cui le centinaia di precari, studenti, attivisti sindacali, dei centri sociali e dei comitati in difesa dei beni comuni, che hanno animato tre giorni intensi di confronto, proveranno a rispondere nei prossimi mesi.

Si comincerà con l’autunno, indubbiamente, con l’ambizione di dare vita (il 14 novembre, questa è la proposta) a uno sciopero sociale di 24 ore. Uno sciopero capace di andare oltre il lavoro dipendente e di coinvolgere le tante figure del precariato, i migranti, i disoccupati, le partite Iva. Uno sciopero della rete e della formazione, uno sciopero del genere, uno sciopero biopolitico e metropolitano. Ma l’idea uscita con forza dalle decine di interventi che si sono susseguiti nei tanti workshop e nelle plenarie è quella di avviare un processo aperto, espansivo, che non si risolva nella puntualità di una giornata di lotta. Lo sciopero sociale sarà uno sciopero, anche e soprattutto, però, un nuovo processo di soggettivazione e di conflitto.

Le due sfide a cui ‒ lo diciamo senza esitazioni ‒ ha già risposto positivamente lo Strike Meeting sono le seguenti: è possibile, nell’impasse dei movimenti italici, delineare uno spazio pubblico di movimento dove alla competizione tra gruppi si sostituisce la composizione delle differenze? Ancora: è possibile che questo spazio non sia generalista (o roboante nei toni) e produca, piuttosto, un discorso programmatico maturo?

“Sprovincializzare l’Italia!”, in sintonia con questo desiderio, che finalmente contagia molti, il Meeting si è aperto attraverso una tavola rotonda animata da attiviste/i provenienti da Germania, Grecia, Spagna, Portogallo, Francia. L’omogeneizzazione europea del mercato del lavoro e del welfare è stata al centro della discussione, così come l’esigenza di contrapporre a essa lotte precarie propriamente transnazionali. Come spesso ci troviamo a dire: lo spazio europeo è spazio minimo di un conflitto anticapitalista degno di questo nome. Nel senso della sprovincializzazione, poi, il metodo di lavoro: miscela di workshop e plenarie, con il primato indiscusso dei primi, pazienza del confronto e presa di parola corale, senza forzature o presidenze che decidono chi, quando e per quanto tempo. Cose scontate in quasi tutto il mondo, tranne in Italia, appunto.

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Il comunicato finale: Batti il tempo dello Sciopero sociale

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L’insistenza sulle comuni pretese programmatiche, oltre alla partecipazione poderosa, hanno fatto la qualità dell’evento. Mai come in questa occasione, precari, studenti e sindacati conflittuali, hanno chiarito la necessaria combinazione delle lotte sul reddito con quelle sul salario minimo europeo, dei conflitti sulla formazione con quelli in difesa dei beni comuni. È consapevolezza diffusa, infatti, che la crisi abbia dismesso i panni dell’eccezione e si sia fatta nuova regola: working poor, privatizzazioni, in parole marxiane, una permanente accumulazione originaria.

Sì, la domanda iniziale, quella con cui ci si è lasciati nella plenaria che domenica ha chiuso i lavori, è difficile come poche, e solo fatti reali potranno abbozzare risposte utili. Ma costruire le condizioni minime affinché le risposte possano essere cercate, questo è stato forse il risultato più prezioso dello Strike Meeting.