Il Piano infanzia si sta lentamente facendo strada nell’agenda di governo. Ieri la riunione convocata dalla ministra della Famiglia Elena Bonetti in videoconferenza con, tra gli altri, i colleghi di Scuola, Lavoro e Sport e il presidente della Società Italiana di Pediatria, Alberto Villani, è servita a delineare i contorni di due protocolli e di linee guida in vista del 4 maggio, quando si spera di poter offrire alle famiglie un piano di attività educative per i figli. Un primo protocollo dovrebbe permettere da maggio attività in spazi aperti per piccoli gruppi. Il documento successivo dovrebbe prevedere indicazioni applicabili da giugno per i centri estivi. Si ragiona anche dell’estensione del congedo parentale e del bonus babysitter (che potrebbe essere speso nei centri estivi), più un indennizzo per colf e badanti. Lunedì una delegazione di maggioranza di Camera e Senato ha incontrato il premier Giuseppe Conte per discutere del tema. All’appuntamento ha partecipato il pediatra napoletano e parlamentare Pd Paolo Siani.

Cosa avete detto al presidente del Consiglio?
Ci siamo resi conto che l’argomento infanzia era un tema poco discusso anche a livello di governo. Abbiamo ascoltato, in due diverse occasioni, i rappresentanti di 35 e poi di 50 associazioni del settore per sentire cosa proponevano. Io ho poi sentito 21 professionisti della salute, pediatri e psicologi, sullo stesso tema. Tirando le somme, l’infanzia è stato un argomento sottovalutato da tutti. Se ne sta parlando adesso solo perché le mamme tornano a lavorare ma i bambini hanno diritti ed esigenze in quanto bambini e non perché figli di genitori che lavorano.

Quali criticità ci sono?
Si tratta di un tema che va considerato nel suo complesso. Immaginiamo una coppia che un anno fa ha deciso di fare un figlio: lui pizzaiolo, lei estetista in nero, il bambino nasce oggi e i genitori non hanno più un lavoro. Di questo bambino chi se ne occupa? Se non arriva lo stato arrivano le mafie. Poi c’è il tema scuola.

Basta la didattica a distanza?
Nessuno vuole mettere a rischio la vita di nessuno, ma dobbiamo partire da alcune cose che sappiamo. Primo, i bambini si ammalano poco; secondo, lo fanno in maniera poco grave; terzo, dall’ultimo lavoro pubblicato su Lancet, sembrerebbe che sono anche poco contagiosi. Se questo dato viene confermato, va tenuto presente per programmare la fase 2. Non si stanno considerando i danni enormi a bambini e bambine che non vanno più a scuola. Io non parlerei di didattica a distanza ma di emergenza: a settembre la scuola deve tornare scuola perché così escludiamo le famiglie senza computer, senza wi fi, che non hanno case spaziose. E poi ci sono i danni provocati dal deficit di attenzione anche per chi vive in abitazioni con più mezzi. Il bambino che non va a scuola non impara, non fa attività fisica e, soprattutto nel Sud, non fa quell’unico pasto equilibrato e salubre che faceva. Non si capisce perché questo pasto non sia stato assicurato in questi mesi. Infine, ci sono i danni psicologici. Ci siamo chiesti se si stiano valutando tutti i danni della chiusura delle scuole e se si stiano bilanciando con i danni da Covid-19. Bisogna pensarci adesso per arrivare preparati alla riapertura delle scuole.

A Napoli ci sono state manifestazioni per chiedere spazi all’aperto in cui portare i bambini.
Il nostro invito al governo è a mettere in campo esperimenti, provare a farli uscire ma in sicurezza, in modo coordinato. Soprattutto il mondo della disabilità è stato molto trascurato: si potevano permettere le uscite in auto per quei bimbi per i quali stare chiusi in casa è particolarmente duro. Ci vuole una rete sociosanitaria territoriale, un welfare serio che tenga conto delle esigenze di queste fasce d’età.

Gli aiuti alle famiglie messi in campo hanno funzionato?
Le associazioni ci hanno detto che il bonus babysitter non è servito ed è complicatissimo da avere. C’è un disegno di legge del Pd a firma Graziano Delrio, in discussione in commissione Affari sociali, che prevede l’assegno unico per i figli: si modula in base al reddito, all’età del bambino o a speciali esigenze. Una quota va al comune di residenza in modo da rendere possibili servizi come asili nido o gli operatori del terzo settore. Abbiamo chiesto continuità dei servizi per le categorie più fragili; valorizzazione degli educatori; rafforzamento delle reti territoriali; misure di supporto psicologico.