Nel febbraio scorso, per la prima volta «Le buone pratiche», organizzate da più di dieci anni dall’Associazione Ateatro, uscirono – come notò Mimma Gallina – «da territori strettamente legati al teatro» per andare ad indagare i suoi rapporti con il cinema. Quell’incontro, diviso in due sessioni, mattutina e pomeridiana, al quale intervennero numerosi ospiti (stralci di alcune relazioni sono riportate qui sotto dai verbali e dai materiali video raccolti durante la giornata) aveva come titolo «Le buone pratiche cinema e teatro. Teatro e cinema: un amore non (sempre) corrisposto» ha originato una seconda sessione che avrà luogo durante il Festival del Cinema di Venezia, l’11 settembre prossimo presso la Villa degli Autori dei Venice Days/Giornate degli Autori, partner della nuova iniziativa (tutto il giorno fino a sera, Lungomare Marconi, 56 Lido di Venezia). Nuovo titolo: «Le Buone Pratiche Cinema e Teatro 2. Dissolvenze incrociate», a cura di Angelo Curti, Marina Fabbri e Oliviero Ponte di Pino, avrà tra i partecipanti Gianluca Arcopinto, Lionello Cerri, Eleonora Danco, Pippo Delbono, Enrico Ianniello, Luigi Lo Cascio, Alessandro Gassman, Motus, Gregorio Paonessa, ricci/forte e Jacopo Quadri di cui la sera si vedrà il film codiretto con Davide Barletti, «Il paese dove gli alberi volano. Eugenio Barba e i giorni dell’Odin».

Angelo Curti
(Produttore teatrale e cinematografico, fondatore dei Teatri Uniti) «Il titolo di questa edizione de ’Le buone pratiche’ è ’Teatro e cinema: un amore non (sempre) corrisposto’. La parentesi poteva stare attorno al «non» ma è stata messa intorno a «sempre», a seguito di una riflessione sullo stato della relazione tra le due arti in Italia. La relazione tra cinema e teatro è sempre stata difficile. L’avvento del sonoro sembrava comportare la scomparsa del cinema stesso, perché lo rendeva troppo simile al teatro. Negli ultimi decenni il cinema ha subito una trasformazione radicale. Una volta andare al cinema significava entrare in un luogo preciso e fruire di un film. Con la nascita e lo sviluppo della televisione e successivamente con le ulteriori possibilità di riproduzione del film, con lo sviluppo del web e la moltiplicazione dell’offerta, il modo di fruire il cinema è notevolmente cambiato. Oltre ad aver perso pubblico e centralità, come dimostra la scomparsa delle sale cinematografiche, il cinema oggi è spettacolo dal vivo».

Roberto Andò
(Scrittore, regista teatrale e cinematografico) «Nella mia vita furono fondamentali le fascinazioni che subii da due forti personalità come Tadeusz Kantor e Bob Wilson. ’Non si può recitare in teatro’ – diceva Kantor – ’bisogna trovare il luogo della vita’. Regista, scenografo e pittore, Kantor si domandava come fosse possibile che gli attori si potessero travestire la sera e recitare Amleto. Non subiva il fascino del teatro borghese e convenzionale e uscì da quella estetica teatrale contestando in maniera radicale il teatro del suo tempo. La stessa cosa si potrebbe dire di Bob Wilson che ha liberato il teatro occidentale da una dimensione necrofila. Mi si permetta di aprire una parentesi sulla noia. Ero in Sicilia con Patrice Chéreau, il quale a un certo punto confessò di annoiarsi da morire in teatro, cosa che al cinema non gli capitava quasi mai. A tal proposito è celebre la citazione di Alfred Hitchcock, ’il cinema è la vita con le parti noiose tagliate’. Dunque, la noia è un fattore culturale importante, degno di interesse e approfondimento. Tornando a Kantor e Wilson come progenitori e liberatori di un’idea di teatro che contempla il teatro e che cerca il luogo della vita, come può il cinema diventare un luogo interessante? Non dobbiamo parlare necessariamente del cinema nella forma di uno schermo o di una proiezione. A tal proposito vorrei parlare del mio spettacolo-installazione ’ll mare non bagna Napoli’ dal romanzo autobiografico di Anna Maria Ortese che realizzai alla Darsena Acton di Napoli. Lì il cinema non c’era pur essendo molto presente. Allora, gli spettatori si trovavano di fronte a un campo lungo all’interno del quale potevano scegliere tra le azioni che gli attori facevano a loop. Nell’azione non c’era una narrazione, ma una circolarità: lo spettatore poteva scegliere in un montaggio le azioni e rimontarle. Questo ha a che fare con un’idea di teatro ma anche con una capacità del cinema di cui parlava Calvino, per cui la contaminazione tra le arti genera una sorta di sfasamento (o ’parafonia’) che ci porta in un altro spazio, come accade quando sentiamo qualcosa di perturbante di fronte a un paesaggio di De Chirico, oppure quando stiamo camminando per la strada di una città».

Paolo Sorrentino
(Regista cinematografico e televisivo) «Il mio approccio è molto semplice, operando esclusivamente al cinema e non avendo altre ambizioni che quella di poter far cinema, il mio avvicinamento alle esperienze teatrali di Toni Servillo è stato totalmente legato alla possibilità di rilevare aspetti cinematografici nei suoi spettacoli. L’operazione si è rivelata più facile del previsto poiché di elementi cinematografici ne ho trovati tantissimi. Per questo non è stato affatto complicato filmare il teatro. E avrei filmato volentieri anche altre esperienze di Toni, come Il Tartufo che, dal mio punto di vista, è l’avamposto più cinematografico. Mi sembra di ravvisare in Toni la ricerca di una scenografia che mira all’essenziale e che si libera di qualsiasi orpello, la stessa cosa che cerco di fare anche io in un film. In questo senso mi risulta facile filmare il suo teatro».

Toni Servillo
(Attore cinematografico e teatrale, regista teatrale) Devo la scoperta del cinema a Mario Martone. Teatri uniti ha immaginato molto presto grazie a Martone la possibilità che un teatro indipendente riuscisse a crearsi anche una dimensione di cinema indipendente: nacque immediatamente uno scambio di collaborazioni che coniugava la spinta del teatro verso il cinema e del cinema verso il teatro, come si è visto in Morte di un matematico napoletano, frutto dell’intreccio culturale e umano nato intorno all’esperienza di Teatri uniti. Il film ha goduto della presenza di Carlo Cecchi come protagonista, un attore a cui si guardava e si guarda ancora oggi con un’enorme ammirazione e che in quel film ha offerto una prova cinematografica straordinaria. Partendo dal modello di ’factory’’ creata da Fassbinder, Martone decise con grande lungimiranza di perseguire la stessa strada. A mio avviso sono tantissimi i temi sui quali ruotare il rapporto tra cinema e teatro. Prendo come esempio l’attore che a teatro ha la responsabilità ultima dell’evento, al punto da avere anche la responsabilità di drammatizzare l’evento. Infatti muovendosi all’interno di un testo, le condizioni in cui poi lo spettacolo si manifesta possono essere turbate da qualsiasi interferenza: un vuoto di memoria, un’interruzione, anche un cellulare che suona, un temporale, un colpo di tosse, insomma qualunque cosa accada in una sala dal vivo e che tu utilizzi portando una accelerazione della drammatizzazione dell’evento. Al cinema al contrario si è drammatizzati dall’evento: è tutto il contesto dell’evento che deve drammatizzarti. In questo senso naturalmente l’attore a teatro è in una condizione di dono, mentre al cinema deve essere disposto a essere derubato di qualcosa, rapito da qualcuno. Pertanto, l’attore deve mettersi a disposizione del regista poiché anche se può sembrare una idea semplificatrice, io credo che il film sia del regista e il teatro sia dell’attore».

Spiro Scimone
(Drammaturgo, attore e regista teatrale e cinematografico) «Ho scritto Nunzio cercando di immaginarmi un palcoscenico e ciò che accadeva su di esso e lo stesso approccio è stato applicato per la sceneggiatura: lo sforzo è stato quello di provare a immaginare di vedere un film. Naturalmente avendo già il materiale di Nunzio in mano come punto di partenza, avevo già qualcosa ma sapevo che non avrei potuto utilizzarlo appieno, proprio perché si tratta di linguaggi differenti. È vero che le riprese cinematografiche sono caratterizzate da una forte frammentazione in fase di ripresa, ma la stessa frammentazione si può ravvedere anche nell’ambito teatrale in fase di prove, durante le quali spesso capita che si interrompa una specifica scena e si inizino a provarne altre. Pur sapendo di avere dei limiti (trattandosi della loro prima esperienza da registi cinematografici) è stato fondamentale creare una équipe affiatata. ll risultato, Due amici, ha ottenuto riconoscimenti anche a livello internazionale. Dunque, io e Sframeli avremmo potuto fare subito altri film ma non sentivamo questa esigenza, la nostra esigenza era un’altra: in quel momento non avevamo nulla da raccontare cinematograficamente, sentivamo un forte bisogno di tornare a teatro: per noi tornare a teatro significa partire dal nulla, creare un testo dal niente, scrivere, inventarsi qualcosa e sentivamo il bisogno di scrivere per il teatro, così è nato Il cortile».

Armando Punzo
(Drammaturgo, attore e regista teatrale) «Non ho mai pensato di passare al cinema: mi piace pensare cinematograficamente per quanto riguarda il mio lavoro e agire poi come teatrante. Nonostante usi molto la telecamera per le prove come appunti di lavorazione. L’unica volta che una parte del girato è stata utilizzata in uno spettacolo risale a una decina d’anni fa: dopo una lunga discussione se utilizzarlo o meno, il materiale venne utilizzato in negativo, e inserito in un lavoro della Compagnia della Fortezza dal titolo Appunti per un film: l’obiettivo era far vedere come si sarebbe potuto utilizzare quel materiale sapendo però che la volontà non era quella».

Renato Carpentieri
(Attore teatrale, cinematografico e televisivo). «Recitare otto anni nella serie La Squadra mi ha permesso di continuare a fare teatro in assoluta autonomia. Inoltre la qualità del lavoro e il legame con la vera e propria squadra che si è costituita sul set mi ha permesso di tenere quel ruolo per otto anni.. Durante questo periodo l’importante era ’esserci’, stare lì pienamente e esserne convinti, ragionare sul lavoro e lavorare sempre con spirito di curiosità e di novità. Chiedo e domando: il teatro si sta confondendo con il cinema? Stanno nascendo sempre più attori funzionali? E ancora, c’è una debolezza critica molto forte in questo momento, sembra che non si siano mai visti tanti geni come oggi. Non è forse vero che la società non chiede più nulla al teatro?».

Si ringrazia l’Associazione Ateatro per la disponibilità a visionare verbali e materiali video degli interventi tenuti durante le sessioni de «Le buone pratiche cinema e teatro. Teatro e cinema: un amore non (sempre) corrisposto», Teatro di Roma, 14 e 15 febbraio 2015