Paolo Beria sa che «lo Stato potrebbe decidere di realizzare la Tav in Valsusa a prescindere», nonostante i risultati dell’«Analisi costi-benefici (Acb) del nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione», da ieri pubblica sul sito del ministero delle Infrastrutture. «Il ministro non è tenuto a fare niente – sottolinea, intervistato dal manifesto-: avrebbe potuto cestinarla, anche; l’ha pubblicata, e lo ha fatto tra l’altro perché il nostro gruppo di lavoro l’aveva posta come condizione necessaria. Ci mettiamo la faccia».

Paolo Beria

Beria, classe 1978, è professore associato al Politecnico di Milano, dove insegna Economia dei trasporti e Infrastructure planning and design. Lo è diventato nel 2015, dopo sette anni da ricercatore. È autore di ben 28 pubblicazioni scientifiche, considerando solo le riviste internazionali indicizzate. «Ho iniziato nel 2003 ad occuparmi di analisi costi-benefici, e da allora ne ho realizzate a livello professionale una dozzina, e con questo intendo dire che non si trattava di esercizi ma di incarichi, con un committente», spiega. Ed è per questo, aggiunge, che di fronte agli attacchi dei detrattori, che si concentrano in particolare sul conteggio delle mancate entrate da accise sui carburanti, quello utilizzati dai tir che resterebbero fermi grazie alla nuova Torino-Lione, risponde: «Mi sento protetto da un bel po’ di fonti internazionali, che mi dicono che l’analisi costi-benefici si fa così, comprese le linee guida del Ministère de l’écologie et du développement durable francese, adottate nel 2014».

Il tema delle accise sui carburanti è stato sollevato, tra gli altri, dal Commissario Straordinario per l’Asse Ferroviario Torino-Lione, Paolo Foietta, che ha definito la vostra analisi una «truffa».
Nella nostra analisi il tema delle accise sui carburanti, con una riduzione dei consumi che genera minori entrare per lo Stato, non presenta alcun effetto “strano” rispetto allo stesso aspetto considerato nell’analisi costi-benefici del 2011, redatta proprio dall’Osservatorio sul collegamento ferroviario Torino – Lione. Nella nostra relazione abbiamo riportato proprio una tabella dal Quaderno 8 dell’Osservatorio. Se adesso non va bene considerare le accise, perché otto anni fa andava bene? La vera differenza non riguarda questo aspetto, ma il dato relativo al beneficio degli “utenti”. In particolare, nell’analisi precedente si andavano a sommare i “costi cessanti” (gestione della flotta e delle gomme dei camion, i più significativi) al beneficio dell’utilizzo della ferrovia: in pratica, si andavano a conteggiare due volte le stesse cose. È un errore che si fa spesso in Italia, ma non nel resto d’Europa.

Ciò comporta una sovrastima delle partite «positive»?
C’è senz’altro un beneficio per gli utenti dovuto al cambio modale, ma complessivamente è un costo per la società, perché i benefici degli utenti e quelli ambientali sono inferiori ai mancati ricavi. Mi preme però sottolineare che questo non è un effetto generale del cambio modale, ma solo in un contesto, come il nostro, in cui io ho da un lato una ipertassazione (il passaggio nei tunnel stradali costa 250€, oltre a tutto il resto), e dall’altro benefici unitari contenuti perché relativi a qualche centinaio di chilometri di nuova linea e dunque non tali da stimolare un cambio modale come quello immaginato.

Significa che le stime di traffico erano gonfiate?
Ci siamo dati come obiettivi quello di essere inattaccabili. Per questo, abbiamo preso e utilizzato come base di lavoro le stime che erano state prodotte dall’Osservatorio. Quelle del 2011, che sono anche le ultime in cui si parla della “domanda” relativa a questa infrastruttura, insieme all’obiettivo di raggiungere il 50% di riparto modale: che la ferrovia, cioè, avrebbe sottratto spazio ai tir, fino a coprire la metà del trasporto merci. Si tratta di un obiettivo, ma viene presentato come “stima”. Tuttavia il dato più sorprendente è un altro: nel 2011 si prevedeva che nel primo anno di apertura, che avrebbe dovuto essere il 2030, ci sarebbe stato un raddoppio del traffico merci su ferro, fino a 34 milioni di tonnellate, invece delle 14 tonnellate (sempre nel 2030, senza opera). La realtà? Nel 2018, il traffico è di appena 2,5 tonnellate. In discesa. Quindi, il punto è che la previsione dell’Osservatorio che noi abbiamo usato è troppo ottimistica: l’insieme dell’effetto al primo anno e della ripartizione finale determina una domanda a 30 anni dall’apertura dell’infrastruttura 25 volte quella attuale. Tanto che ne abbiamo fatto una seconda, con un tasso di crescita ridotto.

Il risultato non cambia: l’analisi costi-benefici è negativa.
Sì, il risultato “migliore”, che indichiamo nelle conclusioni, è quello che contabilizza tra i benefici del tunnel il non-ammodernamento della linea storica e l’evitato costo di ripristino e la messa in sicurezza del tunnel esistente. In questo caso, il costo per la collettività diventa 5,7 miliardi di euro. Mi preme sottolineare però un altro aspetto. L’Acb è innanzitutto una misura aggregata di efficienza della spesa pubblica, ma è molto “facile” fare un passo ulteriore e separare gli effetti per i diversi soggetti, evidenziando così la distribuzione di costi e benefici. In una decisione anche la distribuzione può avere un peso e dunque una perdita per un soggetto – ad esempio i concessionari autostradali – può essere preferita ad un inferiore vantaggio per gli utenti o i contribuenti.