Alla fine è arrivata la bocciatura del Tar del Piemonte. «Ci considera sudditi, non cittadini, condannandoci a pagare 12 mila e 500 euro»», sbotta Mariangela Rosolen, Comitato acqua pubblica e prima firmataria del ricorso contro la vendita delle partecipate da parte del Comune di Torino. Questa è una storia con radici profonde e date che è meglio non scordare: la vittoria ai referendum sui beni comuni del giugno del 2011, l’articolo beffa – il 4 – del decreto legge 138 firmato, nell’estate dello stesso anno, dal governo Berlusconi, che rintroduceva la privatizzazione dei servizi pubblici locali. E, poi, la decisione, accolta con entusiasmo, della Corte costituzionale, nel luglio 2012, che ritenne «incostituzionale» il colpo di mano del centrodestra. In mezzo, si collocava la delibera del novembre 2011, approvata dal consiglio comunale di Torino sul «riordino del gruppo conglomerato città di Torino», che – sorreggendosi, tra l’altro, sulla norma berlusconiana poi cancellata – nella programmazione economico finanziaria disponeva, la cessione a privati di quote di Gtt, l’azienda trasporti, Amiat (multiservizi igiene ambientale), Trm che gestisce il contestato termovalorizzatore del Gerbido e, pure, Sagat (aeroporto). L’obiettivo era sanare parte del debito e acquisire le risorse sottratte ai vincoli del patto di stabilità.

A ridosso di quella delibera, dieci cittadini torinesi presero carta e penna per presentare un esposto al Tar, contestando le scelte della giunta guidata dal sindaco Fassino, considerate antitetiche ai contenuti referendari: militanti del Comitato acqua pubblica, dipendenti di Gtt e Amiat e i rappresentanti delle associazioni Pro Natura e Rifiuti zero. «Chiedevamo, rifacendoci all’articolo 113 della Costituzione, ai giudici di valutare se quelle scelte, prese con modalità tutt’altro che trasparenti, non avrebbero contribuito a peggiorare la qualità dei servizi resi al cittadino e ad aumentarne i costi». Il Tar, ha invece, ritenuto il ricorso e i successivi motivi aggiunti inammissibili per «carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti», condannando gli stessi a pagare le spese legali (circa 2 mila euro per ente o società) nei confronti di Comune di Torino, Finanziaria Città di Torino, Amiat, Gtt, Trm e Iren.

«A tutti quei soggetti – spiega Rosolen – contro cui avevamo ricorso in ogni tappa verso le privatizzazioni del comune. Più che una sentenza è stata una valutazione punitiva e dissuasiva per precludere ai cittadini la possibilità di difendersi da scelte che ritengono per loro dannose. Ci rivolgeremo al Consiglio di Stato». Rosolen precisa: «Il Tar ci dice che al tempo del ricorso non abbiamo provato danno o nocumento nei nostri confronti. All’epoca i veleni dell’inceneritore, che non era ancora attivo, non erano provabili, ora sì, basta vedere quanto siano infuriati i cittadini della zona per fumi, polveri pericolose e disagi subiti, anche da nostri ricorrenti. O i tagli ai bus, che da utente di Gtt, penalizzano la mia mobilità, come quella di tanti cittadini».

Sulla legittimazione ad agire dei ricorrenti, il Tar, valutandola in difetto, si è basato sulla giurisprudenza passata. I dieci autori dell’esposto non avrebbero avuto titolo nell’impugnare la delibera. Resta una domanda: chi su tali questioni ha interesse, se non i cittadini? Intanto, la lotta per i beni comuni non si ferma. Nella cintura di Torino a fine 2013, il comune di Nichelino ha approvato la delibera «perché – spiega Marco Brandolini, capogruppo di Sel e segretario provinciale uscente – la gestione del servizio idrico sia realmente pubblica e, quindi, Smat venga trasformata in azienda speciale di diritto pubblico, come successo in altre città italiane. Ho così cercato di coinvolgere altri amministratori della cintura per esercitare una pressione nei confronti di Torino, il comune di maggior peso in Smat, che raccoglie tra i soci 286 paesi, alcuni molto piccoli».

L’idea ha contagiato altri centri. L’8 gennaio il consiglio comunale di Rivalta ha ripreso la delibera di Nichelino dando l’ok al servizio pubblico. Così hanno fatto anche Busano e Villar Focchiardo.