Non era proprio un tamburino. Secondo Bob Dylan era grande come la ruota di un treno e magari esagera un po’ ma non di tanto. Mr. Tambourine stesso, Bruce Langhorne, lo ricordava «gigantesco», con un cerchio di campanellini attaccato al bordo, orlato in pelle di pecora.

Un tamburello turco che Bruce suonava in giro per le strade del Village in quei primi anni ’60, e così aiutava quelli che ne avevano bisogno a dimenticare l’oggi fino a domani.

Lo usava anche sul palco, per acompagnare Richard e Mimi Farina, lui musicista, scrittore e grande amico di Thomas Pynchon, lei splendida sorella di Joan Baez, cantante e poi per decenni militante a tempo pieno per i diritti umani. Erano strade ben frequentate quelle del Village ai tempi di Bruce Langhorne.

Ne accompagnava tanti, sul palco e in studio di incisione, non solo con il tamburello ma con l’infinità di strumenti che padroneggiava e soprattutto con la chitarra. Suona in parecchie canzoni del premio Nobel, inclusa quella immortale dedicata proprio a lui. Suonava anche, a Washington nel 1963, quando la grandissima Odetta scaldò gli animi per il successivo discorso del reverendo King, quello in cui raccontò il suo Sogno.

I sogni aiutano: in quel luogo e in quell’epoca ce n’erano a volontà. Fanno venire voglia di danzare sotto il cielo di diamante anche quelli tanto provati da stupirsi per la propria stanchezza. Spingono tutti i ricordi e il destino giù sotto le onde.

Ci vogliono grandi artisti come Dylan per far parlare i sogni senza mai scivolare nella banalità. Ci vogliono persone speciali per ispirarli.

Bruce Langhorne, morto ieri a 78 anni, lo era.