A fronte di una proposta di riforma costituzionale, l’onere di provarne l’utilità spetta ai proponenti.
Vediamo, quindi, le motivazioni portate a sostegno della riduzione dei parlamentari.
Costano troppo. Varie fonti hanno dimostrato che, in caso di vittoria dei Sì al referendum, il risparmio sarà irrisorio: appena 53 milioni di euro all’anno, una cifra che si potrebbe recuperare riducendo le indennità parlamentari.
Come ha ricordato Andrea Fabozzi, lo staff di un senatore Usa è incomparabilmente più ampio di quello di un senatore italiano.
Sono troppi. Il confronto con gli altri ordinamenti – purché attento alle caratteristiche peculiari di ciascuno – dimostra che non è vero. Piuttosto, è vero che con la riforma saranno troppo pochi: finiremo all’ultimo posto in Europa per rapporto eletto/elettori. I fautori del Sì replicano con un calcolo che mescola insieme deputati e senatori e ne ricavano numeri più rassicuranti. Ma se – semplificando – il rapporto eletto/elettori vale a misurare la vicinanza dei rappresentanti ai cittadini non si può far finta che due elezioni distinte (anche per corpo elettorale) siano una soltanto. Quel che conta è la popolazione di ogni collegio e i numeri dicono che avremo i collegi più ampi d’Europa.
Quanto agli Stati Uniti, essendo un sistema federale vanno aggiunti al conteggio i parlamenti (bicamerali) dei cinquanta Stati federati: ne emerge un rapporto più alto, ma non così lontano da quello italiano attuale.
Sono poco efficienti. Ma non diciamo sempre che abbiamo troppe leggi? Semmai è vero il contrario: si fanno troppe leggi e le si fanno troppo in fretta. Per questo sono fatte male: la democrazia richiede tempo per discutere tutte le posizioni. Paradossalmente, peraltro, con la riforma l’attività parlamentare potrebbe complicarsi. Perché, a causa delle soglie di sbarramento implicite particolarmente alte al senato, le camere possono ritrovarsi con maggioranze diverse. E perché, senza la modifica dei regolamenti interni (attività lunga e delicata), sarà difficile far funzionare istituzioni calibrate su un numero più elevato di componenti. E, in ogni caso, come ha sottolineato Camilla Buzzacchi, il parlamento non è un’azienda: la sua qualità si misura in base alla rappresentatività, non alla produttività!
Sono moralmente indegni. In molti casi è vero, ma cosa c’entra la qualità con la quantità? Il problema è la selezione dei parlamentari: una selezione che, con numeri ridotti, sarà ancora più saldamente in mano a un pugno di leader di partito.
Insomma, non solo la riduzione dei parlamentari non migliora sotto alcun profilo la situazione esistente, ma rischia di peggiorarla. In proposito, tre ulteriori questioni meritano di essere evidenziate.
Anzitutto, la riduzione dei parlamentari inciderebbe negativamente sulla rappresentanza, sottorappresentando (o non rappresentando) i partiti più piccoli e, di conseguenza, sovrarappresentando quelli più grandi. E ciò – attenzione – anche con una legge elettorale proporzionale, a causa dell’ampiezza dei collegi che produrrebbe soglie implicite di sbarramento elevatissime (sino al 20%). Con conseguenze, tra l’altro, sull’elezione del presidente della Repubblica e sulla revisione costituzionale, che avvengono, in ultima istanza, a maggioranza assoluta.
Di seguito, la riforma produce rapporti eletto/elettori disomogenei sul territorio nazionale, specie al senato, a causa del favor con cui sono stati trattati alcuni territori (su tutti, il Trentino-Alto Adige). Inoltre, eleggendo un numero ridotto di deputati e ridottissimo di senatori, molte regioni vedranno circoscritta la contesa politica a due, massimo tre, partiti: un effetto, di fatto, maggioritario (di nuovo, a prescindere dalla legge elettorale).
Infine, la maggiore ampiezza dei collegi renderà più onerose le campagne elettorali, circostanza che, unita all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, provocherà l’ulteriore torsione oligarchica (meglio: plutocratica) del sistema. Tanto più, se venisse approvato il progetto di revisione costituzionale Fornaro che consente la creazione di collegi ultraregionali al senato