A un soffio dall’inizio dell’ultima riunione del governo prima di una prova elettorale che, a porte chiuse, lo stesso Giuseppe Conte ammette potrebbe essere devastante, non è ancora chiaro se sul tavolo ci sarà il decreto col taglio del cuneo fiscale. In agenda ci sono alcune direttive Ue e le nomine dei direttori delle agenzie fiscali, con Ernesto Maria Ruffini in pole position per la più centrale di tutte, quella delle Entrate, Antonio Agostini alle Dogane e Marcello Minenna al Demanio. Un carniere più ricco ufficialmente era escluso e nel primo pomeriggio palazzo Chigi faceva filtrare che di decreto sul cuneo fiscale non si sarebbe parlato.

SOLO CHE IL MINISTRO dell’Economia Roberto Gualtieri ha fretta, preme per accelerare e varare il decreto che riporta un po’ di soldi nelle tasche del popolo votante il prima possibile. Meglio se prima che il medesimo popolo appunto voti, domenica prossima, in Emilia-Romagna e in Calabria. Parlare di provvedimento elettorale sarebbe fuori luogo: il taglio del cuneo è in fondo la sola misura concreta contenuta nella manovra approvata in dicembre. Ma quanto alla tempistica il discorso cambia e la fretta parla con marcato accento emiliano. Il premier Conte, nonostante le mani avanti messe con la smentita, concorda, vuole l’acceleratore premuto a tavoletta anche lui. Non che qualche in giorno in più o in meno faccia molta differenza per la sostanza del provvedimento. Non ci sono dissensi. La bozza è pronta. Il rischio che finisca come il vertice sulla prescrizione, convocato per dimostrare l’unità della maggioranza e finito rendendo evidente una realtà opposta, non è contemplato. Il problema è tutto nella tempistica: varare un dl del genere ad appena sei giorni dall’accordo con il sindacato è un tour de force.

MA SE ANCHE NON si riuscirà a completare l’opera nella notte, il testo è destinato a essere quanto meno esaminato in via preliminare. Sarà insomma un «primo esame»: non ancora il testo da inviare al parlamento ma ugualmente sufficiente ad annunciare il taglio del cuneo in tempo per l’apertura domenicale delle urne.

LA BOZZA NON PRESENTA variazioni di rilievo rispetto all’accordo già noto, almeno non al momento di entrare a palazzo Chigi. Il costo è di 2.943 miliardi, praticamente l’intero fondo di 3 miliardi stanziato nella manovra. La detrazione partirà dal primo luglio sino al 31 dicembre di quest’anno. Di qui a quella scadenza il governo dovrebbe varare una revisione complessiva del sostegno al reddito e una ambiziosa riforma fiscale. La detrazione piena di 600 euro arriverà alla fascia di reddito tra il 26.600 e i 28mila euro annui, scenderà a 480 per la fascia sino a 35mila euro decrescendo progressivamente e continuerà a decrescere per i redditi sino a 40mila euro, confine a partire dal quale sarà azzerata. Come annunciato, sarà incrementato il bonus di 80 euro varato da Matteo Renzi per la fascia fra i 15 e i 26mila euro, che verrà portato a 100 euro.

LE CRITICHE dell’opposizione sono fondamentalmente di due tipi. La prima riguarda la portata della misura, che è in effetti limitata come ammette lo stesso governo, considerandola però solo un primo passo, necessariamente modesto nel quadro della manovra 2019, sulla strada della revisione complessiva. La seconda è più acuminata. Riguarda infatti la scelta di concentrare gli scarni fondi a disposizione solo sul lavoro dipendente senza intervenire sulle partite Iva. E’ un attacco che morde più a fondo, soprattutto perché la riorganizzazione del mercato del lavoro, tutta a scapito dei lavoratori stessi, ha ampliato di molto il «popolo dell’Iva», non più composto solo da professionisti considerati a priori meno bisognosi ma anche da moltissimi precari.